La Camera degli Sposi



All'interno del castello di San Giorgio, eretto nel 1395 dall'architetto Bartolino da Novara su ordine di Francesco I Gonzaga, e adattato quindi a residenza da Ludovico II, si apre una camera, completamente affrescata, che rappresenta uno dei vertici assoluti dell'arte rinascimentale italiana.

Mentre al secondo piano della fortezza restano ancora i graffiti lasciati dai prigionieri del carcere austriaco, poco piu' sotto, nella torre nord-est, si snoda una sfilata di figure riccamente vestite in abiti quattrocenteschi: si tratta di personaggi realmente esistiti, dipinti con scrupolo e realismo. E' pero', contemporaneamente, il ritratto di una corte ideale, intravista nello sfarzo e nel gioco, nell'attivita' politica e nel disbrigo degli affari correnti. Come ci informa la targa sulla parete sud, attorniata e sorretta da nove vivaci angioletti, l'opera fu compiuta da Andrea Mantegna nell'anno 1474. Il pittore la definisce, con innegabile modestia, opus hoc tenue, dove l'aggettivo tenue vale per umile, ma significa anche sottile, fine, esile. I committenti furono appunto Ludovico II, forse il maggior Gonzaga per intelletto e acume, e la moglie Barbara di Brandeburgo. La dizione di Camera degli Sposi, per quanto tarda, si riferisce appunto alla coppia signorile. Pare che la data d'inizio del capolavoro sia il 1465. I due episodi delineati potrebbero secondo alcuni riferirsi a due eventi del primo gennaio 1462: il marchese viene chiamato in soccorso di Milano, destabilizzata dall'aggravarsi della malattia di Francesco Sforza; lo stesso marchese incontra a Bozzolo il figlio Francesco ordinato cardinale. Ma, secondo altri, sarebbe il 1472 l'epoca delle scene cruciali. A tal proposito è oggi consultabile in rete un'opera, La Camera in Luce, che propone un quadro complessivo di interpretazione.



Il capolavoro di Andrea Mantegna



La personalita' del Mantegna, nato a Padova nel 1431, allievo dello Squarcione, autore della cappella Ovetari, nonche' di numerose tele e tavole, tra le piu' alte del Rinascimento, e' legata indissolubilmente alla citta' dei Gonzaga, dove egli mori' nel 1506, lamentandosi per lo stato di poverta' in cui versava. In realta', fu l'artefice prediletto dei signori; tuttavia, la leggendaria avarizia dei Gonzaga perseguito' l'altrettanto avaro pittore negli ultimi anni della sua esistenza. Non per i suoi difetti lo ricordiamo, comunque, ma per il suo genio. Qualcosa di classico e, allo stesso tempo, di profondamente inedito. Il recente restauro della Camera consente allo spettatore, perche' di spettacolo si tratta, di scoprire nella pienezza della luce e dei colori l'apparato di una loggia illusoria in cui uomini e donne appaiono immobili e tuttavia vivi. Siamo di fronte a uno di quei vertici dell'arte pittorica che superano ogni epoca di appartenenza. C'e' quasi dell'ironia nello sguardo delle dame e degli angeli che si affacciano dall'oculo posto al centro della volta; sono loro ad ammirare noi, quasi avessero previsto il continuo flusso di turisti che incedono sul pavimento della sala, accolti dalla corte. E il pavone, appollaiato in alto, diviene quasi il simbolo dell'arte assoluta, in cui ogni oggetto, persona o animale appartiene a un paradiso di relazioni, identico al vero, piu' reale del vero.

L'occhio vaga, esaminando i busti degli Imperatori romani, antenati ideali della dinastia, ammirando l'ispirazione mitologica delle vele (ancora una volta Orfeo, sbranato dalle donne), posandosi infine sulle scene maggiori. Ma il visitatore attento verra' colpito, piu' che dalla perfetta resa dei volti, delle acconciature, delle vesti degli illustri ospiti, dal grande paesaggio immaginario che si schiude alle spalle dei protagonisti. Gli studiosi hanno cercato, giustamente, di collocare questi monumenti perduti tra le montagne nel loro esatto contesto, geografico e cronologico. Molte costruzioni alludono dunque all'antica Roma, sintesi dello Stato e della Chiesa, sogno ricorrente delle nobili famiglie padane. Ma, mentre notiamo lo splendore cromatico degli ori, degli azzurri e celesti, dei berretti rossi, del rosa delle carni, restiamo sbalorditi di fronte a una natura lontana, sullo sfondo. Nulla e' rimasto della pianura mantovana: tempietti, piramidi, statue, ponti naturali. Una rocca invincibile si eleva sopra una rupe erosa dal tempo, in equilibrio instabile. La roccia si distende e forma un arco, sotto cui si intravede, all'estremo orizzonte, un'altra citta'. Perlustrando con attenzione il dipinto, ecco avanzare sei minuscole figure slavate, quasi fantasmi. Signorini propende per i Re Magi, e noi gli crediamo. La ricca citta' verso cui viaggiano sara' allora Betlemme o, meglio ancora, quella Gerusalemme che sempre inquieta i Gonzaga. Qualcosa ritorna, apparso gia' trent'anni prima, dietro i cavalieri del Pisanello.

Lettura consigliata: Opus hoc tenue, di Rodolfo Signorini, Mantova, 1985 .



Il labirinto


Ritorno a casa



author: giovanni pasetti