I segni della dinastia


Le imprese e gli stemmi di una nobile famiglia rappresentano piu' di una semplice insegna: sono la sintesi delle virtu' innate e del potere acquisito nel tempo, il blasone che gli altri signori devono ammirare e temere. Si puo' ben dire che i Gonzaga furono dei collezionisti di emblemi: il semplice scudo a fasce oro e nere delle origini lascia il posto ad una elaboratissima costruzione in cui, all'epoca di Guglielmo Gonzaga, si riconoscono oltre dieci gruppi di simboli. Il figlio del duca Federico II e di Margherita Paleologo di Monferrato assomma infatti in se' il meglio delle dinastie d'Europa, e non solo, coronando un progetto che parte da lontano: l'aquila di Bisanzio, i pesci della casa di Bar, discendente diretta degli antichi Lorena, l'Aragona, la Sassonia, le croci di Gerusalemme, antica memoria di Goffredo di Buglione, cugino di Matilde; e poi, lo scudo bianco-rosso dei Monferrato, il leone rampante di Boemia, l'aquila imperiale. Gli studiosi d'araldica perdoneranno il lungo elenco, confuso e certamente inesatto; tuttavia, questa serie quasi infinita rende bene il senso di un'ascesa: uno studioso seicentesco, Gaspare Scioppio, riusci' ad annoverare, esaminando le origini dei Gonzaga, un'impressionante numero di legami genealogici con le piu' potenti famiglie della storia d'Occidente; iniziando da Carlo Magno, e addirittura prima, dai re Merovingi, si snoda una successione che non tralascia alcuna terra. Purtroppo, l'apice dinastico fu raggiunto tardi, quando gia' il prestigio dei signori europei declinava, e l'asse Chiesa-Impero incominciava a cedere di fronte alla nascita degli stati moderni. Guglielmo governa dopo il Sacco di Roma, evento spartiacque che segna la fine di parecchi sogni: l'illusione di un nuovo impero cristiano, di un nuovo tipo di pratica filosofica, di un'arte perfetta e realizzata. La politica dei compromessi, mai dimenticata, diviene affare di ogni giorno. Le dinastie svaniscono, l'antico significato degli stemmi passa in secondo piano.



L'impresa del sole raggiante in una medaglia di Pisanello per Ludovico




Accenniamo ora alle imprese vere e proprie, scegliendo quelle a nostro giudizio piu' interessanti.

Il Cane alano che guarda all'indietro risale forse all'epoca medioevale, ed alcuni hanno proposto una sua connessione con la leggenda del Graal; sicuramente indica fedelta' e rispetto della parola data. Le Ali con artigli che reggono un anello colpiscono per la bizzarra invenzione figurativa e possono alludere a un matrimonio tra cielo e terra. Il Crogiolo circondato dalle fiamme appartiene a Francesco II, lo sposo di Isabella, che, dopo la vittoriosa battaglia di Fornovo (6 luglio 1495), venne a torto accusato di tradimento per non aver sferrato il colpo di grazia ai Francesi; il motto annesso Probasti me Domine et cognovisti allude appunto alla prova a cui il Marchese venne sottoposto e che affronto' impavidamente, come l'oro immerso nel fuoco. La Tortora posata sul tronco ricurvo e' un antichissimo simbolo della fedelta' coniugale e, in particolar modo, vedovile; anch'essa si puo' riallacciare alle leggende graaliane; notare come all'interno del tronco sia disegnato una specie di vortice, un piccolo abisso. Il Sole e' l'impresa gonzaghesca per eccellenza, la piu' diffusa sui marmi e sui dipinti della citta', la preferita da Ludovico; esprime naturalmente la forza dell'astro e la sua attitudine a beneficare la terra; e' inoltre simbolo di Cristo e della fede, rappresentando un'insegna parallela al monogramma IHS inventato da San Bernardino e, a sua volta, attorniato dai raggi. Appare anche nella Camera degli Sposi, unito al crescente lunare, come pendaglio appeso al collo del grande cavallo accanto ai cani.

Dopo aver menzionato la Cervetta che guarda il sole, che vuole forse rivolgere un appello di pace, ed aver ricordato che i tre colori base della famiglia mantovana sono il bianco, il rosso e il verde (questa triade appare anche sul fiore gonzaghesco, la margherita o la calendula), prendiamo in esame un ultimo, fondamentale simbolo. Si tratta del cosiddetto Monte Olimpo, ovvero di uno scoglio attorniato di solito da flutti impetuosi, e recante una scritta in greco: AMOMOS; il significato di quest'ultima parola rimanda alla nozione di cosa perfetta, irreprensibile, incorrotta. Non vogliamo ripercorrere qui tutte le ipotesi autorevolmente avanzate. Ci bastera' tratteggiare la nostra, che sintetizza alcune notazioni altrui e spera di arricchirle. L'impresa potrebbe alludere a Mantova, in quanto isola divenuta luogo di passaggio tra l'alto e il basso, custode di una perfezione nascosta; in questo senso sarebbero legittimi i rimandi all'Odissea e all'opera di Virgilio, in cui si descrive una Sicilia intatta (trinacria, come l'isola di Man). Come la Sicilia, piu' della Sicilia, Mantova verrebbe a rivestire il ruolo di rupe che emerge tra le onde, nella manifestazione di una divinita' ancestrale. Per giungere alla sommita' occorre affrontare una prova: una tempesta marina o, piu' sottilmente, il labirinto acquatico raffigurato in un curioso affresco attribuito a Leombruno. Il lago si trasforma in oceano, una collina appena accennata sembra una montagna impervia: cosi' nascono i miti.

Lettura consigliata: Araldica Gonzaghesca, di Giancarlo Malacarne, Modena (Il Bulino), 1992 .


Ritorno a casa



author: giovanni pasetti