L'Isola del Labirinto



Come e' nato il curioso nome di Te? Molte ipotesi sono state proposte; tutte devono tenere conto del fatto che la localita' si chiamava gia' cosi' prima della costruzione del Palazzo. Alcuni hanno avanzato l'idea che l'appellativo derivasse da una semplice intersezione di strade a forma di T; altri hanno parlato delle vecchie casupole che esistevano un tempo nella zona (in dialetto, teze); altri infine hanno accennato ai tassi (in francese taux) o ad altra vegetazione similare. Piu' convincente ci appare una teoria diversa, che sottolinea come il Palazzo si colleghi alla rappresentazione molteplice di un labirinto. Infatti, non solo l'interno del cortile principale era occupato da un labirinto, oggi scomparso, come ci mostra uno schizzo di Marten van Heemskerck; non solo quest'immagine ricorre in tutta la citta', da Palazzo Ducale alle case private, tanto da diventarne l'emblema attraverso il motto Forse che si', Forse che no. Non solo nel settecento l'architetto Paolo Pozzo restauro' il pavimento di alcune sale usando a ripetizione il tortuoso percorso di un labirinto ottagonale. Fu Bertazzolo stesso, urbanista vissuto tra il cinquecento e il seicento, autore della piu' nota pianta della citta', a ricreare un enorme tracciato vegetale a poca distanza dal Palazzo.

Ascoltiamo le sue parole. ... per ordine anco del quale (Vincenzo Gonzaga) fu da me fatto il nuovo Labirinto che oltre S. Francesco di Paola disegnato si vede, il quale e' di tanta grandezza, che a volervi ritrovare il mezo, eccede due miglia di strada, mentre pero' non si erri il cammino, perche' potrebbero essere molto piu'. Ora, questo sfuggente monumento di ampiezza faraonica, che purtroppo non e' sopravvissuto al tempo se non sulla carta di Mantova, non puo' essere una stravaganza di Vincenzo il libertino, ne' tanto meno del suo architetto. Riteniamo che la sua origine sia piu' lontana, quasi ancestrale.


L'isola del Te e il labirinto, dalla mappa di Bertazzolo



Un solo sguardo alla mappa, o al particolare che qui riportiamo, basta per capire che, se Mantova e' un'isola, si tratta di un'isola che si specchia in una gemella simmetrica. Quando ancora il Mincio circondava la zona anche sul quarto lato, infatti, due appezzamenti di terra emergevano l'uno accanto all'altro. L'uno divenne presto abitato, l'altro rimase quasi deserto fino alla costruzione del palazzo gonzaghesco. E' quest' ultima zona, nel suo complesso, l'isola chiamata del Te. E l'appellativo potrebbe alludere ad una funzione sacrale, in un'epoca precedente alla dominazione di Roma. Il labirinto, infatti, che sia associato all'Egitto oppure a Creta, alla giostra equestre indetta da Enea prima della fondazione di Alba oppure alle tracce preistoriche rupestri, o agli allineamenti di pietre ritrovati nell'estremo nord, riflette sempre la pianta di una grande dimora sacra, di cui riproduce l'intreccio, visto dall'alto. Qual e' il simbolo, la sintesi di quest'immagine? Una T, a cui allude anche l'etimologia corrente, che fa risalire il nome di labirinto alla labrys, fantomatica ascia bipenne cretese. In realtà, la T e' cio' che si vede dall'alto, il cammino che si divide in due, o il muro a doppio angolo che separa le strade.

Particolare spesso dimenticato, il vero labirinto non e' un cammino in cui il viandante si possa sbagliare. Nella sua forma piu' consueta, esso non presenta mai dei bivi: e' al contrario una via sinuosa che conduce inevitabilmente verso il centro. Ma, se scambiate tra loro i muri neri e la strada bianca, allora appaiono le alternative, e la meta obbligata diviene un punto difficilmente raggiungibile. Questo ha un profondo significato sacro: se l'adepto si lascia guidare docilmente e non dispera, verra' condotto con naturalezza verso i segreti. Se, al contrario, viene preso dai dubbi e dalla sfiducia, i colori si invertono e davanti a lui si stende un gomitolo difficile da dipanare (i Greci, equivocando sul significato della costruzione, la interpretarono come un luogo da cui si deve fuggire e che all'interno imprigiona un mostro; e' il tipico fraintendimento di una cultura che rifiuta i riti ancestrali praticati dai popoli che ha assoggettato). Non e' un caso che il palazzo di Reims in cui dormivano i re francesi prima della consacrazione si chiami appunto palazzo del Tau. Non e' un caso, crediamo, che il nostro Te abbia ospitato Carlo V, il nuovo imperatore, e che sia divenuto la residenza in cui venivano accolti gli ospiti piu' illustri (ad esempio, Enrico III di Francia nel 1574).

Non intendiamo certo sostenere che tutto questo fosse noto ai regnanti e agli architetti che si sono susseguiti sulla nostra doppia isola; esistono pero' cose che riemergono periodicamente, portate dal cuore e dal ricordo confuso degli uomini. A poche centinaia di metri dall'opera di Giulio Romano, all'interno del Bosco Virgiliano, creato solo due secoli fa, si nasconde un piccolo labirinto vegetale in cui ancora oggi giocano i bambini.


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author: giovanni pasetti