L'Egitto e il Rinascimento


La cosiddetta Mensa Isiaca e' una tavola in bronzo lavorato, forse un piano d'altare, risalente al primo secolo dopo Cristo e appartenente all'area campana; tuttavia, le figure qui incise non hanno nulla a che vedere con la religione romana o con la fede cristiana. Si tratta di un oggetto di culto legato all'antico Egitto: al centro, campeggia la dea Iside, attorniata da divinita' minori. La singolare fortuna dell'atipico manufatto nasce proprio, oltre che dalla sua bellezza, dalla dislocazione in una zona eccentrica; contemporaneamente, questa opera d'arte presenta l'immagine di una dea che, in epoca imperiale, ebbe il massimo seguito di fedeli, tanto da costituire quasi una religione a se' stante all'interno dell'ampio pantheon egiziano. Basti ricordare l'Asino d'Oro di Apuleio, in cui il protagonista Lucio affronta / subisce un cammino di iniziazione che si conclude appunto davanti alla potente Signora. Le feste collegate a Iside, e in particolare il Navigium Isidis, celebrato il 5 marzo, rappresentano il risveglio primaverile dopo la morte apparente della natura in inverno. E' un tipico culto gradito alle masse confuse e sbandate che cercavano punti di riferimento nell'eta' della decadenza romana: Iside, in quanto madre di Osiride, il dio prima ucciso e poi risorto, e' inoltre un'efficace premessa alla venerazione mariana. Ancora una volta, una divinita' lunare (Luna, Diana Efesina, Semele, Trivia) anticipa la grande figura della Madre di Dio, poi Madonna dell'Apocalisse.

Nel Rinascimento, l'interesse per la mistica orientale divenne addirittura morboso. I misteriosi geroglifici sembravano alludere a una sapienza anteriore, che forse si poteva conciliare con i dettami della Rivelazione. Non c'e' da stupirsi se proprio un cardinale collezionista, Pietro Bembo, riusci' a entrare in possesso della Tavola nei primi anni del Cinquecento; egli la custodi' prima a Roma e quindi a Padova, nello Studiolo della sua casa.



La Tavola Isiaca, un tempo proprieta' dei Gonzaga




Pietro Bembo, veneziano (1470-1547), celebre letterato, sostenitore dell'uso di una lingua italiana depurata dalle inflessioni dialettali (Asolani, Prose della volgar lingua), tenne la Tavola fino alla morte. Il figlio Torquato smembro' la collezione paterna, privandosi via via dei pezzi piu' pregiati. A questo punto intervengono i Gonzaga, nella persona di Vincenzo; le trattative procedono e l'affare si conclude il 13 gennaio 1592: in questi giorni passati e' stato concluso il mercato della Tavola Egittia. Probabilmente l'opera venne ad arricchire la raccolta contenuta nella Grotta di Palazzo Ducale, uno straordinario museo privato fondato ai tempi di Isabella, donna che univa all'amore per il fasto e alla ricerca antiquaria un'attenzione spiccata verso gli aspetti esoterici delle antiche culture.

Interessante a questo proposito, anche se non vera, la notizia contenuta nell'Enciclopedia di Diderot e D'Alembert, secondo cui la tavola venne portata in Italia ai tempi delle crociate da un signore di casa Gonzaga. Aneddotto in cui si intrecciano la provenienza pseudo-orientale dell'oggetto e la tensione dei signori di Mantova verso le terre in cui Cristo venne crocefisso.

Comunque, la permanenza della tavola nella citta' virgiliana fu breve. Si ipotizza che sparisse gia' nel 1630, dopo il sacco delle truppe imperiali, per riapparire qualche anno piu' tardi tra le antichita' di Casa Savoia, a Torino. Ignoti sono i motivi del trasferimento. La Mensa Isiaca venne trasportata successivamente nella Biblioteca Reale, quindi nel Museo dell'Universita'; dopo un breve periodo di cattivita' francese entro' a far parte del Museo Egizio, il piu' ricco del genere in Italia, dove ancora oggi si trova.

L'interesse della vicenda consiste soprattutto nei legami che essa mostra: la Tavola rappresento' uno dei cardini dell'immaginario rinascimentale. Studiata e copiata, si poneva come un mistero irrisolto che giustificava le speculazioni piu' fantasiose, in quel grande sforzo di sintesi religiosa che rappresenta l'altra faccia dell'Umanesimo. In particolare, i Gonzaga vennero fortemente toccati dallo spirito del tempo. Oltre alla collezione citata, occorre ricordare almeno le decorazioni della Loggia delle Muse in Palazzo Te, primo esempio di ripresa dei geroglifici nel campo delle arti plastiche. Alcuni studiosi, infine, ipotizzano una connnessione tra Mantova e l'Hypnerotomachia Poliphili, il grande romanzo sapienziale (autore ne e' forse Pico della Mirandola?) che nasconde, nelle vicissitudini causate dalla Dea Fortuna, un arduo cammino di avvicinamento alle verita' divine, e fa largo impiego di elementi simbolici egizi.

Per un ulteriore uso di motivi orientaleggianti si veda il Ciclo dello Zodiaco del Falconetto, in Palazzo D'Arco.

Lettura consigliata: Mantova e l'antico Egitto, di Curto, Leospo, Donatelli e altri, Firenze (Olschki), 1994 .


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author: giovanni pasetti