Di Andrea Mantegna molto si è detto, esaminando le sue opere e la
sua vita. Ma accade talvolta che lo sguardo non riesca a penetrare una
superficie troppo perfetta e liscia. Così, non sarà inutile
ripercorrere l'avventura terrena del Maestro, illustrando un cammino complesso
e intenso mediante le parole di celebri studiosi del passato e del presente.
E, come inizio, ci sembra opportuno citare un passo di Bernard Berenson,
in quanto paradigma di uno squillante elogio congiunto tuttavia ad una
severa riserva. Così si esprime il grande critico:
Allevato tra i frammenti d'antica scultura, in una bottega frequentata
da professori, personaggi insigni in ogni città che viva all'ombra
universitaria, ma allora considerati veri ierofanti della gloria nazionale,
un ragazzo di genio doveva per forza diventare appassionato e fanatico
dell'Antichità. Una strada di luce si stendeva davanti a lui, in
fondo alla quale, lontanissima ma non inaccessibile, era la città
dei suoi sogni, dei suoi desideri, delle sue aspirazioni. Durante tutta
la vita, Roma Imperiale fu per il Mantegna ciò che la Nuova Gerusalemme
fu per i puritani, e l'Antica Gerusalemme per gli israeliti. Risuscitarla
in tutto il suo splendore, doveva sembrare compito da essere assolto soltanto
per lo sforzo indefesso di generazioni e generazioni. Ma la fantasia intanto
poteva vagheggiare e ricomporre coteste glorie; e fissarle in una forma
che ad un tempo sarebbe stata profezia, incitamento e, in se stessa, opera
di bellezza.
L'Antichità per Mantegna fu dunque cosa assai diversa e da quel
che era per i contemporanei fiorentini e da quello che è oggi per
noi. E se mai si dette giusta occasione d'applicare la parola romantico,
nel senso di nostalgia per una condizione di cose che non resulta nel fatto,
ma soltanto da evocazioni d'arte e di letteratura: romantico fu
l'atteggiamento di Mantegna nei riguardi dell'Antichità. Gli mancavano
del tutto le nostre cognizioni, aderenti, positive. Conosceva l'Antichità
a occhio e croce, da un picciol numero di monete e medaglie, poche statue
e bassorilievi, templi ed archi di trionfo, la più parte romani.
E la conosceva da quanto gliene dicevano gli umanisti patavini, comunicandogli
il loro amore per i poeti, e gli storici di Roma.
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