Il 16 agosto 1328 Luigi Gonzaga, forte dell'appoggio di Cangrande della Scala, signore di Verona, regolo' i conti con la
famiglia Bonacolsi, trucidando Rinaldo, detto Passerino, insieme a molti suoi seguaci. Lo stemma oro e nero dei Corradi,
originari di Gonzaga (si vantavano di discendere dai longobardi e di appartenere al medesimo ceppo da cui proveniva la dinastia
dei Canossa), sostitui' l'emblema a fasce oro e rosse dei precedenti padroni della citta', che a loro
volta avevano soppiantato il gonfalone comunale, una croce rossa su campo bianco affiancata da una piccola testa di Virgilio.
Il grande Bonacolsi fu Pinamonte, nato nella prima meta' del tredicesimo secolo. Egli, in una situazione politica dominata dalle lotte tra le fazioni, cerco' alleanze con altre famiglie, tra cui i Casaloldi, riuscendo in breve tempo a compiere una transizione quasi indolore: i macchinosi ordinamenti comunali vennero abbandonati in favore di una nuova realta', la Signoria. Nel 1272 venne nominato Rettore, poi, dopo alcuni omicidi, raggiunse la carica di Capitano del popolo. Infine, nel 1291, poco prima della morte, corono' il suo sogno e divenne Capitaneus Generalis. Dante ritrae la sua avventura con poche ma incisive parole, scrivendo nel canto XX dell'Inferno: Gia' fuor le genti sue dentro piu' spesse, / prima che la mattia da Casalodi / da Pinamonte inganno ricevesse. Dove si accenna al fatto che l'abile Bonacolsi sfrutto' l'alleato per scacciare ogni altro rivale, e quindi lo elimino' con assoluto cinismo.
C'e' pero' un dettaglio ancora piu' macabro, che ci riporta ad epoche davvero barbariche. Passerino Bonacolsi venne mummificato e conservato come talismano nelle sale del Palazzo Ducale, dove era esposto accanto ad altri reperti curiosi, come ci informa la cronaca secentesca di uno studioso tedesco in visita: ecco un armadillo, un unicorno, coccodrilli scorticati, un vitello marino, la testa imbalsamata di un uomo, un drago a sette teste... Il cadavere viene descritto in modo minuzioso: presenta due ferite, una al fianco e una sul cranio. La leggenda dice che l'ultima duchessa di Mantova, stanca di quella inquietante spoglia, fece gettare il povero resto nelle acque del lago. E' significativo che la scomparsa della mummia venga associata alla fine del ducato, come se davvero il valore apotropaico della carne del nemico sconfitto proteggesse il nuovo potere. Questo racconto getta luce sui riti ancestrali di casa Gonzaga, confermati a livello popolare dal coccodrillo e dagli ex voto raccolti nella chiesa delle Grazie. Un corpo per un altro, in un perenne sacrificio simbolico.