Così si esprime il Kristeller a proposito della tecnica a monocromo
cara al Maestro:
Se Mantegna avesse posseduto il fondamentale dono del colore di Bellini,
l'antichità avrebbe certo esercitato su di lui un'influenza molto
più limitata; ma grazie al suo robusto senso plastico, ed alla viva
partecipazione all'aspetto spirituale di quel che ritraeva e alle idee
della sua epoca, egli fu portato più vicino all'antico di ogni altro
suo contemporaneo. La sua grande dipendenza dall'antichità, e la
preponderanza, come di solito accade negli anni della tarda maturità,
del pensiero riflesso sulla percezione immediata della natura, lo portò
inevitabilmente a considerare l'astratta espressione plastica - in quanto
opposta alla espressione naturale ottenibile attraverso il colore - come
lo scopo essenziale e - in accordo con lo spirito dell'antico, per quanto
a lui era noto - come una forma di arte più pura. Da questo punto
di vista, i monocromi di Mantegna devono essere intesi come un fenomeno
caratteristico del suo particolare percorso creativo, e più in generale
dello sviluppo artistico del suo tempo.
Questa argomentazione fa riferimento a un dato inoppugnabile: nel Rinascimento
si credeva che la scultura classica fosse priva di colore - ipotesi smentita
clamorosamente, come sappiamo, dalle successive ricerche. Tuttavia, il
giudizio del Kristeller appare fortemente segnato dai noti pregiudizi,
quasi che la maestria nell'uso del colore avesse un solo esito possibile.
Paradossalmente, si potrebbe al contrario sostenere che certi monocromi,
giocati in modo assoluto sugli effetti chiaroscurali, evocano la luce -
e quindi le tinte della natura - più di un ricco apparato cromatico.
Così accade che una figura intravista in penombra conservi uno splendore
più deciso di un corpo avvolto dai raggi del sole.
In particolare, il Tarquinio e la Sibilla di Cincinnati che qui
proponiamo evoca certamente il mondo classico, sia per il tema trattato
che per l'atteggiamento quasi impietrito dei personaggi. Eppure, questo
dipinto degli ultimi anni di vita del Maestro, forse non completamente
autografo, ha in sé un di più, un fremito che lo allontana
inevitabilmente dal modello antico. La lettura del futuro da parte della
Sibilla introduce ad un'atmosfera temporale carica di attesa e di tensione.
Allora, l'immobilità dell'istante è espressione di un equilibrio
tragico, eterno e tuttavia precario. Un dramma si è compiuto - come
sempre accade in Mantegna - o si sta per compiere. Così, anche nel
Trionfo di Scipione di Londra, capolavoro riconosciuto della fase
monocroma e opera sicuramente attribuita al padovano, i diversi piani della
rappresentazione creano una serie di movimenti fra loro divergenti, una
increspatura nelle forme che porta al trionfo dell'inquietudine. Il Mantegna
da classico diviene qui davvero anti-classico: il
futuro è incerto nei suoi esiti ultimi, come la profezia di una
Sibilla ormai cristiana. E il colore, sia esso la cupa tinta dorata di
un tramonto infinito, o il nero abissale di alcuni sfondi, o il fiammeggiante
e modernissimo drappo che si stende alle spalle del corteo nel Trionfo,
emerge come una nota purissima, affermandosi attraverso la sua stessa proclamata
mancanza.
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