Annota Vasari:
Al medesimo marchese (Ludovico Gonzaga) dipinse nel palazzo di
San Sebastiano in Mantova in una sala il trionfo di Cesare, che è
la miglior cosa lavorasse mai. In questa opera si vede con ordine bellissimo
situato nel trionfo la bellezza e l'ornamento del carro; colui che vitupera
il trionfante, i parenti, i profumi, gl'incensi, i sacrifizii, i sacerdoti,
i tori pel sacrificio coronati e prigioni, le prede fatte da'soldati, l'ordinanza
delle squadre, i liofanti, le spoglie, le vittorie, e le città,
e le rocche, in vari carri contraffate con un'infinità di tornei
in sull'aste e varie armi per testa e per indosso, acconciature, ornamenti
e vasi infiniti...
Due affermazioni importanti emergono nello scritto del Vasari. Innanzitutto,
egli attribuisce a Ludovico la committenza: anche se questo dettaglio può
essere inesatto o totalmente inventato, occorre dare un certo peso alle
parole dell'aretino. Specialmente se, come ritiene Hope, il progetto dei
Trionfi attraversò in realtà le menti dei tre successivi
reggitori dello stato gonzaghesco: Ludovico, Federico e Francesco.
In secondo luogo, il giudizio di eccellenza che in quelle righe appare
- la miglior cosa che lavorasse mai - sottolinea un dato di fatto
spesso misconosciuto: il Rinascimento è anche la profusione di simboli,
il delirio immaginifico, l'antichità sfruttata come repertorio infinito
di oggetti stravaganti. Un delirio che vive tuttavia all'interno di un
equilibrio sommo, basato non sull'assenza dei particolari ma, al contrario,
sulla loro giustapposizione continua. Quando scorriamo l'elenco vasariano,
che potrebbe continuare per giorni e giorni, avvertiamo appunto la vertigine.
A questo punto non è essenziale domandarsi da quale singolo manufatto
romano il Mantegna abbia desunto questa o quella figura, questo o quel
gesto. Importa invece ravvisare un'intenzione debordante, un eccesso che
si pone all'estremità opposta rispetto alla calma apparente della
Camera degli Sposi. Nei Trionfi, in
tutta evidenza, il vincitore è costretto a procedere senza sosta,
perché troppo ha conquistato e troppo ha vinto. Il Rinascimento
è carico di passato, e non riesce più a sostenerlo.
Scrive Martindale:
Le idee del Mantegna sull'aspetto dei particolari classici e degli ornamenti
sono importanti, ma dobbiamo eliminare decisamente ogni tentazione di sottolinearle
troppo, sacrificando lo stile pittorico. Il fatto è che non possiamo
separare le idee sull'antichità e lo stile con cui esse furono rappresentate...
Il Mantegna maturò lentamente il suo gusto per il mondo antico.
Ma dalla ricostruzione fedele del mondo classico attraverso una serie di
oggetti e di dettagli egli arrivò a poco a poco a dipingere un mondo
di persone vive... E questo richiedeva sicuramente una fervida immaginazione;
e richiedeva altresì una conoscenza profonda e una mente precisa
e accurata, per controbilanciare gli eccessi che l'immaginazione, lasciata
libera, poteva perpetrare... E' un risultato che conquista istantaneamente.
Non importa che le cornamuse siano inutilizzabili, che le macchine da assedio
siano incomprensibili, che le armature siano inutili e spesso persino pericolose...
l'effetto d'insieme è tale da dare immediatamente l'impressione
d'essere all'epoca dei Cesari.
Purtroppo, è proprio questo aspetto d'insieme a mostrarsi meravigliosamente
illusionistico. Perché la congerie di cose 'inutilizzabili', 'inutili'
e 'pericolose' dipinge un quadro in cui il classico viene definitivamente
dissolto, nell'iper-realismo della composizione. Cesare diviene un'esile
figura, che si fa trascinare nell'universo da lui stesso collezionato.
E la potente Roma, che si svolge alle spalle del corteo alla stregua di
uno scheletro fragile nelle cui aperture campeggia il cielo, si rivela
come il più raffinato e ingannevole dei sogni. Allora, si potrebbe
concludere che mai il Mantegna è riuscito a rappresentare il mondo
e la sua lucida follia in modo così esatto: se cadono le coordinate
di riferimento, se la vittoria si dimostra un discorde procedere di personaggi,
il dettaglio prevale e diventa vero al massimo grado, quasi oltre l'umano.
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