Una storia di colori e di pietra



Scrive Ronald Lightbown:
Se il tempo ha in parte cancellato gli azzurri e gli ori... e ha molto diminuito lo sfarzo decorativo della camera, essa mostra ancora con grande vivacità la vasta gamma dell'arte mantegnesca, dall'impietoso realismo della sua ritrattistica - un realismo che sconcertò gli stesssi Gonzaga - alla romantica bellezza dei suoi paesaggi e alla ricchezza delle sue costruzioni di intarsi marmorei, il tutto all'interno di composizioni prospettiche di sorprendente audacia.

Infatti, quel che più colpisce nell'ammirare il capolavoro è la complessità della trama, composta da elementi tratti dalla storia e dalla cronaca, inseriti tuttavia in una cornice mitologica, dinastica e di memoria classica. Basti pensare agli sfondi che l'occhio intravede: panorami di città lontane, forse Roma e Tivoli, borghi perduti in mezzo alla natura, paesaggi stravaganti di orridi e di rocche. Qui, tra questi orizzonti infiniti e inconoscibili, l'uomo deve vivere, governare, amare.

Signorini, dal canto suo, afferma:
La Camera Dipinta fu la stanza privata del marchese Ludovico e il suo arredo contemplava anche il letto del principe, sormontato dal capocielo, sospeso agli anelli e al gancio tuttora infissi nella parete orientale e meridionale...
Camera Dipinta, Camera magna Picta... era detta quella stanza del castello. Solo nel 1648, nelle Meraviglie dell’arte di Carlo Ridolfi, si ritroverà documentato il titolo: detta degli sposi, che col tempo prenderà il sopravvento su quello originale, e che forse risale alla notte di nozze trascorsa nella Camera, nel 1573, da Margherita Gorni e Alessandro Donesmondi.
Ma Camera Dipinta essa dev’essere correttamente chiamata, perché, se da una parte il primitivo titolo non consente fraintendimento sulla destinazione originaria del luogo, dall’altra riconduce alla letteraria camera dipinta - senz’altra denominazione - che l’ha ispirata. Forse alla modesta (e perciò autentica) bellezza della camera lucianea allude, contrastando con la grandezza dell’opera, l’espressione OPVS HOC TENVE con cui l’artista -che ha confuso con sofisticata modestia, tra i fiorami di uno dei finti pilastri dell’Incontro, il proprio ritratto- definì il capolavoro condotto a termine nel 1474 per i suoi signori...
O forse quel tenue è denso di più profondo valore, forse è stato mutuato dal sesto verso della quarta Georgica, là dove Virgilio, presentando a Mecenate il minuscolo e arduo lavoro delle api, scrive che nel tenue c’è fatica; ma non tenue gloria. Gloria per chi, in questo caso? Per l’artista, certo; per il committente pure. Forse quel tenue, nella sua apparente natura di deferenza cortigiana, è l’esito sapiente di una studiata scelta filologica, suggerita da un’intelligente volontà di equivoco, coerente con il raffinato sentire della cultura umanistica che ha privilegiato Mantova della più bella camera del mondo.

L'accenno a Luciano rientra in un'affascinante interpretazione complessiva dell'opera, che in questo modo Signorini tratteggia:
E’ mio parere infatti che il testo letterario cui si ispirò il Mantegna per ideare la Camera sia stato il Perì tou òikou (La sala) di Luciano di Samosata (II sec. d.C.). Lo rivela, a mio avviso, l’alternarsi dell’oro alla grisaille su tutto il biondo padiglione della stanza, lo confermano i personaggi e il pavone sporgenti dalla balaustra che circonda l’oculo aperto al centro della volta ribassata.
La Camera Dipinta del Mantegna sarebbe dunque la ripresa di un’èkphrasis antica, ossia di un’antica descrizione di un’opera d’arte, un fatto normale in epoca umanistico rinascimentale... Nella sua operetta Luciano descrive una sala grandissima, bellissima, allegra di luce, splendente d’oro, e rifiorita di pitture in cui uno sarebbe tentato di parlare per divenire quanto è possibile anch’egli una parte di quella bellezza...
A mio parere, dunque, in assenza di precisi elementi documentari, basterà dire che i miti di Orfeo, Arione ed Ercole esprimono presumibilmente doti o intenzioni etiche del principe, senza tentare contorsionismi interpretativi, quali quelli proposti da Arasse, che nei miti ravvisa un unificante tema comune di morte e resurrezione (Orfeo ritorna dall’Ade ma non dopo la sua morte; Arione non-eroe nella serie degli eroi... non-morto tra Orfeo e Ercole, dato per morto dai marinai, si rifà vivo, perché salvato dal delfino, perché non morto, appunto; Ercole ritorna dagli inferi con Cerbero incatenato, ma non dopo la sua morte...). Dei tre protagonisti dei miti muore qui solamente Orfeo: le discese all’Ade, per motivi diversi, di Orfeo ed Ercole sono solamente simulazioni di morte, che possono essere contemplate nell’ambito di disquisizioni di ordine misterico...



Ascoltiamo dunque l'opinione di Arasse, che propone un'altra lettura del capolavoro, altrettanto seducente:
Per interpretare il programma della Camera degli Sposi non basta dunque tentare di spiegarne esaurientemente i dettagli iconografici; occorre piuttosto identificare nella disposizione degli elementi la struttura informativa che ha governato la scelta di questi motivi e costruito, qui, il loro significato preciso... Lungi da ogni descrizione aneddotica, viene qui dipinto il successo del marchese nel costituire una linea maschile che assicura alla famiglia la continuità e il prestigio del suo duplice potere... Non soltanto sono presenti le donne di casa Gonzaga e la marchesa occupa il centro della parete, ma il Principe è circondato dalla sua famiglia nel senso largo del termine...
Ma, affinché l'appropriazione allegorica sia efficace, occorre anche che il Principe recuperi questa invisibilità trascendentale che caratterizzava il principio del Buon Governo. E' quello che accade effettivamente nella Camera degli Sposi, attraverso la categoria molto precisa e storicamente determinata del segreto. La Camera degli Sposi è uno dei primi cicli, se non il primo, in cui sia rappresentato il segreto di Stato, il segreto come pratica legittima del Buon Governo esercitato dal Principe....
La modernità della Camera degli Sposi è legata non solo al fatto che essa costituisce senza dubbio il primo ciclo allegorico della persona del Principe, ma anche al fatto che offre il primo grande complesso decorativo che esalta il matrimonio principesco in tutte le sue risonanze, politiche e diplomatiche. Le connotazioni specifiche introdotte dal matrimonio che associa la stirpe Gonzaga al sangue imperiale permettono inoltre di collocare l'allegoria Gonzaga delle pareti nel suo contesto più decisivo, quello della teologia politica così come viene pensata e utilizzata alla fine del Medioevo e agli inizi del Rinascimento...
I Gonzaga non sono né degli angeli né dei semi-dei, ma, allo stesso titolo di ciascuno dei Cesari, hanno un duplice corpo, quello visibile e mortale della loro persona fisica, e quello invisibile e immortale della corporazione dinastica e mistica alla quale appartengono e che ciascuno d'essi incarna temporaneamente...

Così, l'apparente tranquillità e perfezione della schiera di figure che si avvicenda sulle pareti del Castello nasconde un abisso di motivazioni distinte, talvolta in conflitto tra loro. E' certamente il Governo il tema fondamentale della Camera. Ma si tratta di un problema che travalica l'intenzione umana, poiché si riflette in ogni aspetto dell'universo, dalle origini più antiche fino alla nascita delle Signorie rinascimentali.
Ancora di più: il Governo sfugge al Tempo, per la sua prepotente ambizione di mettere ordine nel mondo; ma con il tempo deve confrontarsi, con gli accidenti del destino, con le notizie improvvise. Per quanto ogni dettaglio della natura possa venir rappresentato con precisione estrema dal pennello dell'artista, il mosaico che in questo modo si compone sfugge ad ogni regola e incontra, nella sua stessa esattezza, uno sconfinato sentimento di alterità. Orfeo viene travolto dalle Baccanti.


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