Un Santo guerriero


Il San Giorgio dell'Accademia viene generalmente attribuito all'anno 1467. Siamo dunque già in epoca 'mantovana', all'indomani di uno dei due viaggi in Toscana (Firenze e Pisa) compiuti in quel periodo dal Maestro. Tuttavia, anche in questo caso alcune voci discordi propendono per una diversa datazione, assai precedente. L'opera ha incontrato il grande favore dei critici, in special modo in occasione della celebre mostra del 1961. A molti è sembrato che qui, più che altrove, il Mantegna sia riuscito a rappresentare quell'ideale di armonia e di bellezza considerato, a torto o a ragione, come il sogno più sincero del Rinascimento. La serena figura del santo in armi si inscrive perfettamente nella falsa cornice; dietro al vincitore e alla spoglia esanime del drago, un mondo pacificato si ricompone, per quanto sia ancora tortuosa la strada che conduce dalla pianura alla città turrita.
Oggi, viceversa, si ravvisa spesso nella composizione un che di statico e di oleografico, quasi ci trovassimo di fronte a un'intuizione non compiutamente risolta. Ben altro impatto hanno alcuni dipinti pressoché coevi, come il San Sebastiano di Vienna.




In merito all'opera, ecco alcune osservazioni dell'Arslan:
Il San Giorgio è caratterizzato anzitutto dalla finta cornice marmorea con le facce interne viste in prospettiva; ma questa è proprio una trovata escogitata per accentuare il senso di profondità che notiamo soltanto nelle opere molto giovanili del Mantegna e che dopo il '59 ricompare, che io sappia, una volta sola (nel San Sebastiano della Ca’ d’oro, ma in una accezione figurativa del tutto diversa). Essa si rivede, invece, affatto simile nella succitata Presentazione di Berlino, nella lunetta del Santo, nella Sant'Eufemia, nel San Marco di Francoforte (che siamo propensi a ritenere del Mantegna) e (con un compiuto senso monumentale) nel menzionato affresco col Martirio di San Cristoforo e il trasporto del cadavere; ma, soprattutto, essa si rivede, legata all’architettura reale (della cornice) e dipinta, nel trittico veronese; e, infine, ai limiti estremi dell’inganno ottico, nella Camera degli Sposi...

Quanto all'uso della prospettiva nel Mantegna, Panofsky acutamente afferma:
La storia della prospettiva può essere concepita ad un tempo come un trionfo del senso della realtà distanziante e obiettivante, oppure come un trionfo della volontà di potenza dell'uomo. Perciò essa doveva riproporre di continuo alla riflessione artistica il problema del senso in cui impiegare questo metodo ambivalente. Era necessario chiedersi se la struttura prospettica del dipinto dovesse essere regolata in base alla posizione effettiva dell'osservatore oppure se, viceversa, toccasse all'osservatore di assumere idealmente la posizione corrispondente alla struttura prospettica del dipinto. ....Già nel Quattrocento questa alternativa porta, com'è noto, a due sistemi completamente diversi nella pittura di soffitti: da un lato all'illusionismo di Mantegna e di Melozzo, sviluppato più tardi dal Correggio, che entro certi limiti nega, mediante un apparente innalzamento prospettico o addirittura mediante apparenti squarci prospettici, l'architettura reale del soffitto; dall'altro all'obbiettivismo degli altri artisti, che costituisce una ripresa rinascimentale del principio medievale di una semplice ripartizione della superficie, e pone l'accento sull'architettura del soffitto rendendone visibile la funzionalità....


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