L'opera fu commissionata al Mantegna dall'abate di San Zeno in Verona,
probabilmente nel 1456; il complesso venne quasi certamente terminato nel
1460. Consta di una cornice, disegnata dal Maestro stesso, e di sei tavole,
tre grandi ancora oggi visibili nella chiesa veronese, e tre piccole, disperse
tra Tours (Preghiera nell'orto, Resurrezione) e il Louvre
(Crocifissione).
Si tratta di un progetto assai complesso e ambizioso, destinato ad armonizzarsi
luministicamente con una sala ristrutturata a bella posta. Frequenti sono
gli accostamenti della critica al Vivarini e al Donatello dell'Altare
del Santo, a Padova. A sinistra dell'affollata composizione si trovano
i Santi Pietro, Paolo, Giovanni e Zeno; al centro, la Madonna in trono
con il Bambino e nove angeli; a destra, i Santi Benedetto, Lorenzo, Gregorio
e Giovanni Battista. Straordinaria appare l'idea del tempio a pilastri,
aperto su tutti i lati verso un cielo solcato da rapide nubi.
Magnifica la Crocifissione, oggi al Louvre, che controbilancia il
dispiegarsi orizzontale delle figure maggiori disegnando una linea verticale
evidentemente legata all'avventura terrena del Cristo (si veda in proposito
uno schema analogo, anche se meno accentuato, nella Madonna
della Vittoria). Il sacro e la storia si incrociano irrimediabilmente.
Ecco in merito le illuminanti parole del Puppi:
Al momento della committenza, Andrea aveva, da poco, preso congedo dalla
Cappella Ovetari, licenziando con il grande affresco
absidale dell’Assunta, le ultime quattro storie di san Giacomo...
Il maestro che sigillava una siffatta sequenza di prove sfoderava una dichiarazione
di stile appartenente in toto a un prezioso e ornato umanista settentrionale
-secondo le parole del Longhi-, e padovano, e ne sottende tutte le strutture
e infrastrutture culturali: ciò che vuol dire che il Mantegna pubblicava,
in altri termini, in quella congiuntura, circa il 1455, il manifesto d’una
concezione intellettuale e liberale dell’arte pittorica destinato a staccare,
con taglio netto, da quanto egli stesso in precedenza aveva compiuto...
Ci corre l’obbligo di ribadire la portata stimolante della partecipazione
albertiana, che coinvolge nel mestiere del poeta l’esigenza di una rigorosa
razionalità, implicante l’apriori di una costruzione mentale, da
informare, faticosamente, attraverso lo strumento della prospettiva geometrica
e lo sbalzo chiaro e privo d’ambiguità della presenza statuina dell’immagine...
L’universo che vien aperto, in capo a un procedimento di tali e tante implicazioni
dialettiche, è sogno pietrificato di una città di silenzio;
ogni momento è filtrato dall’ebbrezza antiquaria...
Per Andrea Mantegna, in cotesta congiuntura e secondo accordo con la dimensione
culturale che impersona, il mestiere dell’arte coinvolge quello di vivere,
in una finzione retorica di eroica qualificazione, giocata imperterritamente
sino alle ultime carte, che tutto controlla, domina e s’evidenzia nella
creazione del mito romano e cristiano, il cui rapporto imprescindibile
con la storia è divenuto immaginario (non arbitrario), ma proprio
per questo totalmente condizionatore... Il trittico, posto a chiudere lo
svolgimento parietale di uno spazio reale vien dal Mantegna caratterizzato
... come un oculo fantastico, il quale finisce per trasfigurare
il valore di quello spazio, proponendone la riqualificazione per forza
divina che tiene la pittura, e assegnandogli un nuovo significato.
Così descrive invece l'opera il Camesasca:
I lavori iniziali riguardarono la cornice, disegnata dal pittore stesso
avendo ben presente l'altare donatelliano del Santo, quale risulta dalla
recente ricostruzione proposta da Fiocco e Sartori: quasi identici i timpani
e affine la ripartizione in tre zone, proseguita nel gradino. Più
oltre non sembra il caso di procedere con le analogie, perchè le
tre zone, rigorosamente uguali fra loro nel Mantegna, tali non sono in
Donatello; il quale inoltre, se distribuì con l'andamento adottato
poi dal pittore i santi negli scomparti laterali, previde per la Madonna,
al centro, tutt'altra e più incombente presentazione.
In realtà l'apparato donatelliano servì al Mantegna per accogliere
lo schema, d'origine schiettamente pittorica, del trittico con la Madonna
in trono e quattro santi, ora all'Accademia di Venezia, firmato da
Giovanni d'Alemagna e Antonio Vivarini e datato 1446, l'anno in cui Donatello
iniziava il celebre altare padovano. Il vasto recinto marmoreo che determina
l'ambiente del trittico fu lo spunto per la pilastrata nella pala veronese:
la stessa illusione di spazio cubico, ritmato dal disporsi delle figure
sui lati d'un mezzo esagono. Le concordanze possono essere precisate ulteriormente:
i fregi e i medaglioni dipinti dal padoano equivalgono alle modanature,
cornici, finestrelle e merli traforati profusi dai muranesi; ugualmente
corrisponde il peso delle masse vegetali, benché il Mantegna abbassi
sensibilmente quelle nature, sbucanti da sopra i merli nel complesso di
Venezia, e raccolga in ghirlande di più netta ascendenza classica
le altre, al sommo della composizione. I lineamenti fisionomici imparentano
da vicino alcuni santi delle due opere... Infine, sia i cognati di Murano
sia Andrea esprimono il loro horror vacui per mezzo di superfici
drasticamente polite, colori sodi e sonori, modellato di perentoria plasticità.
Ovviamente il padovano copia da artista di gran classe, cioè sceglie
e accomoda sulla propria misura quanto gli confà. Ma risulta lampante
che, trovatosi di fronte al rinascimentale Donatello e ai gotici Alemagna
e Vivarini, propendette per questi ultimi, dimostrando una volta di più
quali fossero i suoi orizzonti culturali...
Riguardo poi all'individualità pienamente salvaguardata da Andrea,
basterebbe notare come l'estatica contegnosità del trittico ispiratore
si traduce in attesa surreale, sotto un cielo distantissimo, palesato soltanto
dall'arruffio delle nubi d'alta montagna. In un clima così metafisicamente
sublimato i volumi si scalano con l'allucinata impeccabilità degli
Eremitani e avviene la consueta sontuosa solidificazione: le carni sono
alabastri, i manti e i piviali acciaio damaschinato, il tappeto ha la compattezza
oltre le tinte del corallo, fregi pilastri e basamenti sono ricavati nelle
selci più inaccessibili. Un grandioso intarsio di pietre dure...
Infine, ancora sulla Crocefissione, così scrive Angelo Pasetti:
Nella Crocefissione del Louvre, dietro il gruppo delle addolorate,
sale a lento giro, tra un palco di roccia e lo scosceso pendio, una strada,
tutta percorsa ed animata da gente a piedi ed a cavallo che, dopo l'esecuzione,
fa ritorno alle quotidiane occupazioni. Si arrampica ogni fante, incede
ogni cavallo, sta ritto ogni cavaliere, tutti visti da tergo nel metodico
procedere. E là in alto, distesa sull'arco della collina, la città
attende, bella di torri di cupole di castelli, fitta di case, città
antica, ma stabile ed interamente presente. La testa del corteo ha già
oltrepassato la porta di cinta e i primi stanno riversandosi in un vasto
spiazzo erboso e ondulato che porta un sentiero irregolare ed è
limitato di fianco e di fronte da una fila di basse, umili abitazioni:
è uno spazio che conserva tutta la naturalezza dei luoghi di periferia
e una toccante semplicità di tinte rosee sulle facciate all'intorno.
Oltre le mura, all'estremo opposto della città, per la dolce curva
del colle scende un bosco. Ricordo di aver avuto una simile visione ai
piedi di Todi; non ricordo di aver mai vissuto così sottile emozione
nelle piazze delle città che si visitano.
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