Il Duca di Atene

Ventitreesimo

Cercando Andrea per telefono, Cesare intendeva riferire i progressi compiuti e chiarire alcuni dubbi riguardanti il futuro. Innanzitutto, voleva un contatto.

"Ciao, come stai?"

Andrea non sembrava affatto felice di sentire la sua voce. "Ah, sei tu. Spero che avrai concluso qualcosa, perché noi siamo quasi fermi. Racconta."

Cesare aveva creduto che i convenevoli l'avrebbero aiutato a sbloccarsi. Scoprendo che i convenevoli non esistevano rimase atterrito, temendo di non avere nulla da dire. Decise però di parlare a ogni costo.

"Andrea, è tutto a posto. Ho trovato le ragazze disposte a collaborare, e una guida mi ha indicato un percorso interessante. Mi ha raccontato di uno spiazzo tra le montagne dove si potrebbe concludere la puntata. Dice che il sole crea strani scherzi di luce."

Andrea notò, usando un'ironia nascosta che quasi feriva, "Bene, ti sei impegnato molto."

"Non so, negli appunti non c'era altro. Posso essermi dimenticato..."

Il tono di Andrea salì, perentorio. "Stai tranquillo, mi basta così. Adesso prendi la macchina. Ti aspettiamo domani a Chioggia."

"Come? Riparto? Pensavo mi avresti dato altre istruzioni."

"Esatto, le istruzioni sono queste. Ti sei affezionato a Sondrio?"

"No, figurati. Ma dimmi, tu hai già finito, lì?"

Questa domanda innocente fece emergere un segno di sconforto, una frase incrinata.

"Sai, Cesare, siamo costretti a limitarci a qualche assaggio, visto che non è possibile girare una puntata per intero. E non è chiaro cosa sia un assaggio. Anche un'idea serve, una piccola intuizione. Il materiale lo prepareremo nella seconda parte del viaggio, adesso bisogna sbrigarsi."

Cesare sentì la fatica nelle parole di Andrea. Gli stava tacendo un particolare essenziale, la ragione del suo scoramento. Avrebbe voluto chiedergli come mai si comportava così, qual era il motivo. Ma, non essendo nemmeno amici, era difficile investigare, dimostrando una forza e un'intelligenza tali da comprendere quell'inflessione dolente. Cesare comunque tentò, spinto da un vago senso di unione.

"Andrea, sei sicuro che non sia accaduto nulla?"

"Cosa? Cosa intendi?"

"Scusa, mi parevi deluso."

"Lascia perdere. Se incominciano a preoccuparci delle nostre crisi non ne usciamo più."

"Ti ha chiamato qualcuno da Roma?"

"No, tutto bene. Per tre settimane ancora siamo liberi."

"Perfetto."

Cesare voleva interrompere la comunicazione. Pensava che le sue domande fossero inopportune. Se l'altro aveva dei problemi, perché parlarne?

"Cesare, ti saluto e ti aspetto. A proposito, come va la macchina che ti ho prestato?

"La macchina? Benissimo, grazie."

"E di che? Ciao, ti saluto."

"Arrivederci."

Andrea forse si era rasserenato. Forse. Ma quel dialogo abbastanza inutile costringeva Cesare a ricadere nelle sue ansie. Sentiva amarezza e rabbia per non aver trovato una vera spiegazione, rabbia perché non capiva affatto a che pro stancarsi, se già i primi risultati venivano trascurati.

E, per contrasto, accanto a questa reazione iniziale, i soliti pensieri. Cosa pretendeva, quale importanza poteva mai avere il suo lavoro? Perché era stato assunto? Ignorando tutto, si ricordò che doveva preparare una volta ancora la valigia. Andarsene, almeno, lo avrebbe scosso.

Ma un particolare della situazione gli dispiaceva. Aveva creduto sinceramente di avvicinarsi a un mondo nuovo, frequentando Andrea. Aveva sempre amato l'ambiente del cinema e della televisione, benché sapesse d'essere un dilettante che attribuiva le proprie incertezze all'assenza del giudizio altrui, un giudizio inutile, senza oggetto e senza base. Per questo le sue fantasie erano vaghe, e da loro nasceva solo inquietudine.

Ora, Andrea l'aveva trascinato in un sistema che obbediva a leggi precise, finalmente si costruivano piani di lavoro, ci si dava da fare, insomma. Andrea, però, non riusciva a trasmettergli una vera energia. Non erano poi tanto diversi; la differenza principale sembrava consistere nella riluttanza del capo ad ammettere le sue difficoltà. Tentava continuamente di chiudere i guai in un sacco, e lo portava in giro ostentando sicurezza.

Cesare era di opinione opposta. Pensava che, quando si è in preda all'angoscia, tanto vale abbandonarsi a lei e discuterne, trascorrendo i giorni a dipanarla e ad infittirla. Era esperto di questo sentimento: ascoltando la sua voce nelle parole di Andrea, un riflesso condizionato lo aveva convinto a chinarsi sul giaciglio immaginario dove si agitava il malato, per appoggiargli la mano sulla fronte e scoprire la febbre. Ma il malato si era ribellato, coprendosi la testa. Cesare aveva visto la mano rimanere sospesa e non aveva capito quel rifiuto, non lo aveva capito affatto.

...

Andrea

Cesare Almonti

Lettura consueta

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