Il Duca di Atene

Ventiquattresimo

"Arriverà il Signor Salvati. Allora, mi venga a chiamare nella camera blu. Subito."

"Certamente, signora."

Barbara amava la camera blu. Qui sedeva riposando, quando giudicava che tutto fosse già disposto secondo l'ordine consueto. In questi attimi di pace le piaceva ammirare alcuni pezzi pregiati della sua collezione, in special modo un astuccio di cammei del Tardo Impero.

Ma non fu, quel giorno, lo splendore dei gioielli a conquistarla, quanto la perfetta effigie dei volti di donna, tanto simili l'uno all'altro. Forse rappresentavano una sola figura, intravista negli aspetti mutevoli del carattere, in una sola età. Barbara sapeva che la regina dei cammei era maestosa e sublime. Suo compito non era comandare, ma esprimere con un cenno della mano il volere supremo del consorte, che scendeva dall'alto degli altissimi cieli e si identificava in lei, diventava carne, pallore, emozione. Un potere così lontano doveva scegliere una donna per manifestarsi, per farsi persona, tingendosi di sentimenti più umani, e insieme divini.

Barbara sembrava affascinata da quelle pallide guance. Pensava che fosse l'aquila ad apparire nel sorriso della probabile imperatrice. Ma non era lei l'aquila. Migliaia di sudditi avevano aspettato, tremando, i suoi ordini; ma lei era semplicemente un essere umano, che univa speranze comuni a una grazia eterna, la grazia del giorno del matrimonio.

Qualcosa infastidiva Barbara. La parola matrimonio sembrava così ordinaria... Non erano il ruolo, il rango o la cerimonia a determinare nella vita l'incontro degli sposi.

Era difficile spiegare la realtà del vincolo, che nemmeno i libri custoditi nella biblioteca riuscivano a raccontare. Gli autori divagavano, perdendosi in dettagli leziosi, rifiutando la semplicità. E il senso della cosa stava nei cuori femminili, ne era certa.

Chiuse l'astuccio dei cammei. Intuiva che la sua capacità di controllo era lievemente turbata, quasi quella mattina non fosse una delle consuete pause che dividevano la sua giornata. Consigliò allora a se stessa di dedicarsi a catalogare le ultime riviste; questo compito, destinato al pomeriggio, era misteriosamente divenuto improrogabile e urgente.

Si fermò a considerare... Qualcosa. Non capiva: c'era qualcosa che si ribellava, che le impediva di affaccendarsi, ostacolando la sua volontà ostinata. Barbara non credeva ai presagi, e d'altra parte non c'era nulla di concreto. Nulla.

Fu come un crollo. Pensò all'amore, rapita. Era l'amore coniugale, o il ricordo di quello. Ma più del ricordo avvertiva una sensazione presente: rimaneva in lei una zona, accuratamente recintata, che continuava a dimostrarsi superiore agli anni trascorsi. La morte del marito era solo un dato di fatto, e questa zona non vedeva i fatti se non come tappe ambigue di un'eternità intoccabile. Qui nasceva l'amore, nella sua vera essenza.

Barbara sapeva che il sentimento aveva conservato intatta la sua forza. Temeva quindi che il desiderio imprigionato riconoscesse in un uomo qualsiasi l'ideale successore del primo, dell'unico, adoperandosi a favorire un secondo incontro. Lei aveva sempre evitato, con automatica abilità, i contatti pericolosi. Ma si chiedeva talvolta se proprio il suo assurdo accumulare ricchezza non nascondesse un disegno meno nobile, o molto più nobile. Resisteva, comunque, e poteva resistere fino al termine dei suoi giorni.

La camera blu, intanto, era vuota; nessuno osava raggiungerla. Per questo, con una timida eccezione alla regola, Barbara si abbandonò alla suggestione, ripetendo, "Non è nulla. Sono comunque io, sempre io."

Abbandonò il baluardo. Cosa pensava dell'amore? Ritornò al suo primo apparire. Lo associava a un profumo primaverile; erano i fiori delle passeggiate stranite nel verde, l'omaggio che ogni lunedì lui le mandava. Il lunedì era, per consuetudine, il giorno di festa del suo corteggiamento; la settimana si apriva così, con un saluto cortese che significava attenzione e domanda. Quanto l'aveva implorata! E quanti sforzi per conservare un atteggiamento dignitoso, per non compromettere con il pianto il lento avanzare della sua presenza.

Lei, allora, sembrava crudele nel mostrare ad altri la propria bellezza. Evitava di fermarsi a colloquio con l'unica persona che riusciva a emozionarla, perché le leggi dell'amore sono immutabili.

Durò più di un anno quell'insistenza discreta. Fu proprio un attimo prima della conquista, quando le sembrava di avvertire più forte il suono dei sospiri, come una folla che sta per trascinarti nel ballo, fu allora che decise di farlo soffrire. Questa era davvero una crudeltà. Barbara si comportò come se un estraneo la importunasse e si allontanò per qualche tempo. Si lasciò affascinare da altri, ebbe un breve bacio e un altro abbraccio.

Ma, alzando la testa, vide che non c'era più folla, mentre il suono era divenuto lancinante. E a nulla questo sarebbe servito, se lui non avesse indovinato. Indovinato! Era la prova, il segno del cielo.

"Si è fatto avanti con un impeto assoluto. Senza chiedere risposta mi ha detto cose che sono al di là dell'immaginazione, cose supreme, cose vere. Stringendomi mi sussurrava, instancabile, parole stupende, mentre un grande fiume investiva la mia mente, e..."

"Signora, è arrivato il suo ospite."

Come ritornare, ora, all'aprile?

...

Barbara Almonti

Lettura consueta

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