Il Duca di Atene

Ventiseiesimo

La pioggia cadeva sul vetro della Volvo mentre il tergicristallo batteva raschiando e la gomma della spazzola si consumava. Andrea era solo alla guida, e questo non gli piaceva.

"Detesto condizioni simili, viaggiare di notte con un tempo orribile, non avere nessuno al fianco per scambiare due parole. Sono cose che non servono. Tutto per arrivare prima e risolvere subito i problemi, in modo che si possa lavorare meglio, dopo. E i miei aiutanti... Aiutanti! Dovrò faticare per calmarli, come il comandante di un equipaggio sull'orlo della ribellione. Ma non sto sfidando nessuno; forse questo è il Titanic."

Rise, accompagnando dolcemente il movimento del volante. La strada era stretta e scivolosa; la segnaletica sembrava cancellata dal getto d'acqua impietoso e continuo.

"Se continuo a correre così rischio un incidente. Ho paura di un colpo di sonno. Farei meglio a riposarmi, se riposarsi non fosse inutile. Resisterò ancora cento chilometri, e alla fine avrò un letto."

Il pericolo si nascondeva nei disegni che le gocce di pioggia tracciavano sul parabrezza, forme che il tergicristallo spazzava a ritmo regolare. Andrea non riusciva a sottrarsi al loro fascino, quasi cercasse sulla superficie del vetro, là dove nascevano quelle strutture provvisorie, un significato diverso.

Non aveva la presunzione di riconoscere vere parole, né credeva di riuscire a decifrare geroglifici più complessi; voleva solo associare, stornando l'attenzione dall'asfalto, con rapide occhiate e nuovo controllo.

"Un gomitolo, ora ho visto un gomitolo, e anche una collana. Ma sono figure simili, forse era la stessa. Infatti. È la cosa più banale, una costellazione o un grappolo di grani. Sono invenzioni, nomi che voglio dare alla confusione se appare in aspetto appena più simmetrico. Mi capita quando sto per addormentarmi: chiudo gli occhi e spero di assistere all'arrivo di simboli, di oggetti chiari, quasi nitidi. Ma scorgo solamente bagliori, veloci passaggi di nebbia multicolore. Non è il buio totale, no: c'è sempre qualcosa, forse i giochi delle mie cellule nervose, i residui delle tinte più accese del giorno. Eppure... Non ci credo, non ho tanta fiducia nei congegni del corpo. Se il cervello fosse davvero un magazzino, tutto funzionerebbe meglio. Mi basterebbe riunire, accostare, legare i frammenti per ottenere un programma nuovo, perché certamente le combinazioni sono infinite. Ma, se ora si schiantasse sul cofano un veicolo in fuga dagli spazi lontani, e se i particolari del relitto fossero abbastanza familiari, per quanto estranei, allora..."

La sagoma di un camion si profilò davanti a lui, con quattro fari gialli e bianchi. Andrea scartò sulla destra, perché gli sembrava che il camion occupasse l'intera mezzeria. La ruota anteriore scese sulla ghiaia della banchina e la macchina sbandò un poco; ma riprese presto la traiettoria mentre l'avversario, dietro, fuggiva. Andrea, impassibile, proseguì nei suoi pensieri; era segno che un'intuizione tentava di venire alla luce.

"Ecco, adesso le gocce hanno composto una specie di pugnale. Ma l'obiezione è semplice. Queste non sono realtà esterne, sono le mie immagini mentali che per manifestarsi utilizzano una disposizione favorevole di elementi fisici. È vero. Il discorso è ragionevole, e credere al contrario sarebbe frutto di un delirio, della paranoia. Però, è strano che una tale sovrabbondanza di soggetti generi solo ricordi, e che d'altra parte la realtà sia immutabile. Il pugnale ora è scomparso... E se invece volessi seguire a tutti i costi le indicazioni che rintraccio tra le cose sparse? Come se veramente qualcuno, che non incontreremo mai, le avesse lasciate dietro di sé? Allora ubbidirei alle mie idee segrete, trasformandole in divinità. No. Resto sempre io, incastrato in schemi buoni per qualsiasi stagione. Le gocce diventano una fila di soldatini, ordinati e votati allo sbando, al sacrificio; una schiera viene già distrutta, e se un'altra si prepara a combattere è solo per abitudine, per rispettare un comando che si ripete da anni. Consoliamoci."

Una freccia blu, nel blu dell'acqua, segnalava che mancavano ottanta chilometri a Chioggia. Niente più camion, e nemmeno automobili.

"Se incrocio qualcuno in bicicletta, di sicuro l'ammazzo. Però, sotto questa pioggia è improbabile. Sono nervoso, devo assolutamente rilassarmi. Ma... Là nel teatro, ho incontrato una persona che non mi apparteneva. Quella ragazza non esisteva nello stesso modo in cui esistono gli altri, mi guardava con tenerezza e con sospetto; era venuta per me. Non era realtà e nemmeno immaginazione: riconosco i prodotti della mia fantasia, e una donna reale non ti fissa come se sapesse tutto della tua vita. Un fantasma, si trattava di un fantasma. Era sua la voce nel teatro, così strana e indistinta."

Un pensiero intenso salì facilmente dal nulla.

"Non la temo. No, non posso. Deve spiegarmi qualcosa di essenziale."

...

Andrea

Lettura consueta

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