Il Duca di Atene

Secondo

"Signora, le serve qualcosa?"

Barbara annuì, e la cameriera, prima immobile sulla soglia, si avvicinò per ricevere gli ordini. Bastò quel lieve ma estraneo movimento perché Barbara negasse nervosamente il cenno appena dato. Pregando la donna di andarsene, si ritirò a sua volta verso la parte interna del palazzo.

Camminando, il pavimento che i suoi piedi rapidamente toccavano sembrava restringersi, come una pista diretta verso nascondigli inaccessibili e silenziosi, dove solamente il ticchettio attutito di gocce d'acqua portava il ricordo di presenze esterne.

Si fermò solo quando fu assolutamente certa che nessuno avrebbe osato disturbarla. Il caso volle che in quell'istante davanti a lei si trovasse uno specchio, un immenso specchio dai bordi anneriti. Per nulla spaventata, guardò l'immagine e scoprì d'essere tremendamente vecchia. A trent'anni si era chiesta spesso cosa le preparava il futuro, e mai aveva previsto lo sfacelo di un'età indefinita. Cinquant'anni, sessanta, settanta? Era impossibile riconoscere il vero aspetto, risalire alla vera data di nascita. L'antica bellezza non esisteva più; i capelli ostinatamente grigi coprivano i segni dell'amarezza e del rimpianto ormai trascorsi, nell'inutilità evidente di ogni velleità superstite.

Barbara tuttavia conservava intatto l'orgoglio, e riusciva a vantarsi anche del suo tramonto. Sapeva che né il tempo né la natura avevano distrutto la sua bellezza. Lei stessa, invece, si era scelta il ruolo dell'assassino, anzi del pazzo che sfregia e distrugge l'opera d'arte, spinto da un sentimento simile all'amore dell'artista quando crea.

Lo sapeva, ne era sicura, e questa sicurezza era tutta la sua vita. Per questo si rinchiudeva nella stanza più piccola dell'enorme palazzo che le aveva lasciato, morendo, il marito, e consentiva che l'angoscia, frutto di desideri non ancora spenti, la divorasse gentilmente.

I segreti di un cuore sconvolto sono impenetrabili, se l'apparenza della delusione li nasconde, come i resti di una casa crollata proteggono una cassaforte sconosciuta. Da anni nessuno varcava più il suo rifugio, benché fossero molte le relazioni che si trascinavano stancamente intorno a lei.

Alla perdita del fascino e dell'amore, Barbara aveva risposto con l'operosità tenace di chi utilizza la propria ricchezza per circondarsi di capolavori, gioielli scelti con l'occhio esperto del commerciante. Nelle stanze era rinchiusa una collezione di quadri splendidi, che da sola avrebbe riempito non uno, ma più musei di media grandezza.

Ma, per il resto, nulla. Non attività, non fondazioni, non imprese. Pochi parenti, tenuti sempre a distanza affinché nessuno infastidisse il riposo eterno della signora. Niente feste, ricevimenti, niente vita di società. Amiche lontane, dall'altra parte dell'oceano. Infine, due figli, testardi dissipatori di una fortuna che non riuscivano nemmeno a valutare; dissipatori della corteccia di questa fortuna, ignari della vera fonte da cui scorreva il denaro, inestinguibile.

Se un uomo si fosse avvicinato a Barbara tanto da amarla, allora avrebbe intravisto l'ammontare esatto del suo patrimonio. Sarebbe rimasto stupito, forse atterrito. Avrebbe quindi cercato di immaginare cosa poteva nascere da quel fiume in piena se una mente esperta l'avesse indirizzato verso terreni fertili. E, dal calcolo al sogno, avrebbe certamente coltivato il miraggio del potere.

Ma nessun individuo, per quanto straordinario, aveva in sé la forza di avvicinarsi tanto. Barbara pensò dunque ad altro, e si ricordò che doveva preparare il consueto colloquio settimanale con i figli. Era questa l'unica imposizione di cui ancora si compiaceva, obbligarli a rispondere a domande che rivelassero il vuoto della loro vita e la meschinità del loro carattere. Riconoscere nello sguardo delle due persone che un tempo aveva sperato di rendere felici, riconoscere il fastidio, il disprezzo, l'intima vergogna. Voleva umiliarli; era una piccola prova, inutile ma salutare.

Abbandonò così la stanza dello specchio, mentre le luci venivano accese di sala in sala. Chiamò il maggiordomo.

"Diana e Cesare sono già arrivati?"

Il servitore rispose "No, signora. Li attendiamo da un momento all'altro. Se intanto vuole leggere questa lettera... L'ha portata un bambino poco fa."

Le diede una busta non affrancata, con l'indirizzo battuto a macchina, senza indicazione del mittente. Barbara si ritirò di nuovo e aprì la busta. Il breve foglio era firmato Andrea.

Quel nome suscitò in lei un sentimento di indolente attenzione, di benevola attesa. Andrea era un lontano nipote, praticamente uno sconosciuto. L'aveva incontrato una volta sola, quando il ragazzo stava per trasferirsi in città a cercar fortuna; in quell'occasione aveva notato con favore il suo riserbo, e l'imbarazzo che traspariva dal suo volto, deciso a non chiederle nulla che suonasse come desiderio di aiuto o di protezione.

Così, esaminò la lettera con insolita calma.

......

Barbara Almonti

Lettura consueta

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