Il Duca di Atene

Primo

Quando Andrea aprì gli occhi e sentì il cuscino morbido che gli accarezzava il viso, il sole era già alto nel cielo. Il sole di aprile batteva sulle finestre, illuminando l'enorme città ancora sfiorata dai resti della nebbia notturna, che tardava a disperdersi e scendeva come sempre sulle piazze, verso il suolo.

Andrea aveva freddo, e la sola idea di gettare lontano le coperte, interrompendo così definitivamente il riposo, gli faceva sperare d'essersi ingannato, di avere confuso la notte con il giorno. Purtroppo, questo non era vero. Allora, avendo risolto in quella prima giornata di aprile di occuparsi con metodo della sua vita, scelse di non aspettare oltre e, dopo aver acceso la radio, andò in cucina a preparare un caffè.

Ma un caffè non gli bastava per svegliarsi. Tirò le tende, cercando la luce. Dal suo appartamento all'ultimo piano, tutto rivolto verso est, vide la macchia già troppo brillante abbagliarlo, costringendo per l'ultima volta la sua attenzione a esaminare un mondo immensamente lontano dalla realtà. Andrea aveva trent'anni, e sapere che il tempo passava lo colpiva ogni mattina più di quella luce.

Tornò nella camera da letto, che era anche una sala e uno studio. Indolente, si buttò sulla poltrona preferita. Quando, molti anni prima, aveva deciso di abitare nella metropoli fingendo d'essere un emigrante di altri tempi, ancora si riuscivano a trovare camere in affitto. Dopo un primo momento di incertezza, il suo destino l'aveva condotto a dividere quelle stanze con amici che presto si erano rivelati non essere tali. Litigi, fortuna, donne a loro volta condivise avevano determinato la partenza dei vecchi compagni. Benché fosse inevitabile soffrire, il miraggio della solitudine a lungo cercata l'aveva spinto a fortificare con abilità la sua condizione.

Aveva scoperto subito che la solitudine non era molto piacevole, e che i pochi vantaggi sembravano invisibili. Ma in quel periodo immaginava d'essere un uomo vincente, e non si sbagliava affatto; si era dunque dedicato alla propria vita riempiendo la casa di oggetti che definivano al meglio la sua intelligenza, quasi dipingendo una ragnatela dove attirare mosche. Fuori, ogni giorno ingaggiava battaglie con il resto del mondo, e la cosa più difficile era convincere il mondo a combattere, spezzando la consueta indifferenza del suo trascorrere caotico e tranquillo.

Il denaro era la spia delle possibilità che Andrea credeva di intravedere. I lavori precari e i guadagni quasi di rapina lo avvicinavano al cuore del sogno, perché lui era un uomo che aveva un sogno. Cosa gli restava ora, sdraiato in poltrona, dello slancio antico e del nuovo progetto?

Si massaggiò le gambe gelate, spostandosi verso la lavagna che, appesa alla parete, gli mostrava l'elenco di numeri da chiamare entro sera. In quell'elenco lungo non c'era nessun amico.

Pensò che gli amici lo avevano abbandonato, tutti. Per meglio dire, si erano tutti allontanati seguendo direzioni diverse, separandosi da lui senza rancore e forse senza dolore. Non aveva mai tentato di fermarli, non era sua abitudine ostacolare le decisioni giuste. D'altra parte, come era possibile rimpiangere chi se ne andava per la propria strada?

L'orologio segnò le dieci. Andrea compose il primo numero, rimandando il seguito delle sue meditazioni. Quando la segretaria rispose, il cuore iniziò a battergli forte. Conosceva la ragazza grazie a precedenti visite notturne; cercò di atteggiare il tono della voce in modo da ricordarle che gli doveva un nuovo favore. Ottenne subito quello che desiderava, perché la comunicazione passò all'ufficio dove sedeva la persona davvero importante, da cui dipendeva forse il suo futuro.

Il tono freddo della prima risposta non lo spaventò, sapendo che il dirigente all'altro capo del filo mostrava freddezza quando aveva qualcosa da offrire. Il dirigente disse semplicemente "Ah, è lei. Senta, ora non posso parlare. Ma intendo affrontare al più presto il nostro programma. Vorrei vederla domani."

Il programma. Finalmente ascoltava qualcuno pronunciare la grande parola; bastò quel suono a svegliarlo del tutto. Fissò rapidamente l'ora dell'appuntamento e, salutando, abbassò il ricevitore. Capiva di avere ottenuto con una sola telefonata quel che si attendeva da un'intera giornata di contatti. Mesi e mesi gli scorrevano davanti, come accade nei film quando il calendario viene investito da un vento improvviso. Era comunque un passo avanti, un'occasione difficilmente valutabile, ma un passo avanti.

Si vestì alla svelta, per uscire e sciogliere l'emozione camminando distrattamente per le strade della città. L'appartamento gli sembrava ormai insignificante, inutili le cose disperse dovunque. Però, prima di aprire la porta che si affacciava sull'infinita rampa di scale del grattacielo, si fermò per un attimo a guardare la distesa di case che, sotto di lui, riflettevano quotidianamente la sua felicità e i suoi dubbi.

Pensò che quelle case erano la sua vera coscienza, troppo divisa per essere rappresentata da un oggetto solo. Non erano l'anima, invece; l'anima, la doveva trovare ancora.

Uscendo, ripetè a se stesso che c'era una cosa importante da fare prima che venisse sera.

...

Andrea

Lettura consueta

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