Il Duca di Atene

Terzo

"La mia prima proposta non era convincente? Davvero? Forse mi sono espresso male. Le dispiacerebbe spiegarsi?"

Andrea aveva esitato un attimo prima di chiedere, quasi temesse di offendere il suo interlocutore costringendolo a dire cose ovvie.

"Sì, le riassumerò la situazione. La nostra rete è interessata al progetto di una serie di telefilm. Il network ritiene che lei possa, e sottolineo possa, rivelarsi l'uomo giusto per imbastire questa serie. Il prodotto deve contrastare con efficacia la presenza di opere americane, brasiliane e tedesche sul mercato nazionale. A mio parere si tratta di imporre una nuova immagine del telefilm. Lo voglio snello, penetrante, senza i limiti del vecchio sceneggiato. Ma la prima esigenza è quella di contenere i costi, perché qui non si fa del cinema. Mi basta un'idea nuova, che non diventi una costruzione sterile."

Andrea valutò per l'ennesima volta le proprie speranze. Nella conversazione rischiava molto; era necessario inventare quasi tutto, era indispensabile delineare in modo credibile un ruolo e una materia su cui lavorare. Riprese coraggio e tornò all'attacco.

"Io ho un'idea nuova. Scrivendola, l'avevo esposta male. Penso a dieci puntate di cinquanta minuti ciascuna, realizzate in dieci città, evidenziando ogni volta i motivi che rendono una certa storia irripetibile altrove. Sì, ecco il punto, irripetibile. Immagino anche un personaggio presente in tutto il ciclo, un filo conduttore. Immagino..."

"Cosa le fa credere che il pubblico italiano si interessi a un tema come questo? I tentativi di proporre racconti televisivi intimisti sono naufragati nella noia generale. I critici li hanno stroncati. Non riusciamo a pagare tutti i critici."

"Lei ha ragione. Ma, vede, sono naufragati per la trama troppo lenta, per gli errori della sceneggiatura, per le inquadrature sbagliate. Nessuno ha voglia di guardare, dopo cena, una famiglia che tira avanti tra il lavoro del padre, la madre insoddisfatta e le disavventure sentimentali dei figli. Questa è già la vita. No. Io credo di sapere cosa vogliono gli italiani."

"Sì? Cosa vogliono?"

"Deve scusare la presunzione, ma ho fiducia nel mio intuito. Gli italiani desiderano l'impossibile, cercano una rappresentazione dei sogni di un'esistenza intera. E, se non hanno mai sopportato l'idea che questo accada accanto a loro, noi diremo che nella città vicina, oppure a pochi metri da casa, avviene o sta per avvenire l'incredibile."

Allora il dirigente si alzò, percorrendo a passi misurati lo spazio che divideva il suo tavolo dalla vetrata della terrazza antistante. Il gesto di affondare le mani nelle tasche della giacca, quasi per stringere un talismano nascosto, rivelava una profonda incertezza che stava mettendo a dura prova la sua capacità di giudizio. Forse non sapeva a cosa appellarsi per valutare il discorso appena ascoltato. Non c'era un solo dato reale da esaminare, erano semplicemente congetture vaghe.

Andrea sperava che questa prudenza venisse smossa dal suo apparente ottimismo. Per un anno aveva preparato il colloquio, mobilitando tutte le sue conoscenze, attendendo che l'uomo da cui dipendeva il sì o il no, quell'uomo, fosse in una situazione particolarmente propizia. Poteva rischiare?

Il dirigente lo guardò a lungo, poi riprese a parlare. "Lei ha a disposizione un regista, un operatore, un aiutante, qualche tecnico?"

"Li troverò."

"Allora concludiamo. Io le metto a disposizione un assegno di... Ecco. Lei gira per l'Italia con il suo gruppo, stende una sceneggiatura, filma qualche scena, prepara una relazione dettagliata. Fra un mese, quando avrò qualcosa di concreto, sarò in grado di prendere una decisione definitiva. Domani le faccio firmare il primo contratto."

Era meglio non replicare, non accennare al fatto che si poteva concludere ben poco con quella cifra, e che non avevano ancora parlato di attori, e che tutta la gente la doveva pescare proprio lui, allettandola con chissà quali promesse.

"D'accordo?"

"D'accordo."

"La manderò a chiamare."

Il colloquio era finito. Andrea si avvicinò all'ascensore chiedendosi quale miracolo avrebbe mai potuto salvare il progetto. L'emozione trattenuta a forza lo aveva spossato. Si era preso sulle spalle una responsabilità troppo grave. Non capiva perché ogni traguardo doveva essere tanto alto, e insieme tanto immerso nella fatica quotidiana. Forse un tempo le cose avvenivano diversamente, forse, nei secoli passati, le porte che si aprivano davano luogo a grandi, interminabili vedute. Questo sforzo perenne era invece incomprensibile, davvero.

Non toccava comunque a lui giudicare il corso del mondo, aveva dimenticato simili pretese molti anni prima. Quanto alla tristezza e alla delusione, conosceva una medicina adatta: dormire tutta la notte e, al risveglio, telefonare a qualche amica.

...

Andrea

Lettura consueta

Ritorno all'home page