Giovanni Pasetti

Un Tuffo nel Mare Blu

capitolo nono

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‘‘La seguo, la voglio seguire. Ha mancato troppe volte l’appuntamento, ha inventato le scuse più assurde. La sua Renault 4, bianca e ammaccata, è l’automobile ideale per nascondersi nel traffico caotico di Atene. Io sono seduto a fianco di Filio, che ha accettato di aiutarmi in questa avventura e ora guida il suo camioncino, più adatto ai trasporti che ai pedinamenti. Resto accucciato, quasi sul fondo, e incido sul nastro del registratore i soliti appunti di viaggio.

Parlo in italiano, nella speranza di evitare la curiosità del mio amico poliglotta, che mi guarda come se avessi appena commesso un piccolo furto, una debolezza di cui non mi credeva capace. No, non è per gelosia che mi comporto così; Anna non sta più con me da molti mesi, e i suoi tradimenti non sono affatto interessanti. Poco tempo fa, mi è capitato di vederla mentre richiamava su di sé l’attenzione di un marinaio, al porto, e lo baciava. Questo accadeva davanti ai clienti di un’osteria, impegnati a mangiare la solita mousakà. Lui era un ragazzino, appena sbarcato dalla nave mercantile. Cercava di rimediare una paga che lo allontanasse dalla miseria della Tessaglia. Si era presentato, dicendo - Sono di Karditsa - e mi aveva scongiurato di assumerlo.

Grazie al suo assalto senza pudore, Anna è riuscita a complicare in pochi istanti la vita di quel disgraziato, costringendomi a immaginare traffici loschi. Quando lei si muove, si muove tutta intera, e la droga gioca una parte fondamentale nel suo erotismo, come se il mondo avesse bisogno d’essere addolcito prima dell’amore. Infatti, la Renault procede in fretta, con decisione, addentrandosi nei vicoli con manovre azzardate che sfiorano i passanti. Ma non bisogna fermarsi. Una mia occhiata basta a Filio per riprendere la corsa; le sue mani si spostano sul volante con una leggerezza insospettabile, mentre le guance diventano umide per il sudore. Sento che lo stomaco si chiude, e l’impazienza mi costringe a respirare affannosamente. Fino a quando non scoprirò la persona che l’aspetta non dormirò tranquillo.’’

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Sì, è la mia voce: la riconosco, l’ascolto, riesco persino a ricostruire l’occasione in cui è stata incisa. Si tratta dell’anno degli insulti, un periodo strano, che sembrava favorevole alla nascita di tutti i sospetti. Ricordo che l’inseguimento finì molto presto, perché ci bloccammo di fronte ad un palazzo grigio, altissimo, sorvegliato da due uomini certamente armati. Filio mi chiese: ‘‘Vuoi che ci battiamo?’’, ed era pronto a scattare, sicuro che la sua mole avrebbe spazzato via in un attimo le guardie. Ma... Dove sono, adesso?

Questo è il mio letto, non c’è dubbio, e il mio corpo è nudo. Mi accorgo che la luce filtra sotto la finestra, e la sua debole intensità mi fa capire che è l’alba, l’alba di una normale giornata greca, senza nuvole. Quindi, ragiono con la solita prontezza e il mio sguardo sembra privo di impedimenti. Però, non riesco ad aprire completamente le palpebre. La testa è appesantita da una spossatezza che si propaga sulla pelle e rallenta le reazioni, paralizzando i muscoli. Scivolo con grande sforzo sul pavimento, dove per fortuna il freddo delle piastrelle mi scuote. Tuttavia, non so spiegare la situazione in cui mi trovo; soprattutto, ho difficoltà a localizzare l’origine del suono.

Mi appoggio al muro, con le ginocchia tremanti e le gambe inutilizzabili. Intuisco che il volume della riproduzione è molto più basso di quanto appariva in un primo momento; grazie alla memoria, il cervello ha completato quelle parole ridotte a fruscio, recuperando tracce impresse nel profondo, indimenticabili. Ma il rumore viene dallo studio, oltre la porta, là dove custodisco tutti i resoconti che ho deciso di non cancellare. Chi ha premuto il tasto, chi ha scelto il messaggio? E a quale scopo? Chiunque sia, è a pochi passi da me e continua nella sua esplorazione.

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‘‘Da ore siamo in vedetta, chiusi nel camioncino. La temperatura è francamente insopportabile, ma non ho il coraggio di chiedere a Filio cosa fare. Anna non esce. L’incontro misterioso si prolunga oltre ogni limite, come se fosse provocato da una passione che deve rimanere segreta a ogni costo. Questo è il punto: perché tanta cautela in una donna sbadata, eccessiva e disattenta? È sicuramente l’altro a temere la verità. Forse lo conosco, forse non desidera vedermi. Oppure è una figura nota, abituata a prendere precauzioni per evitare i pericoli, gli attentati.

- Non vorrei che si insospettissero. -

Filio entra nel nastro con un timbro smorzato e strascicato. Ora mi darà un consiglio. - Che facciamo? Il nostro appostamento è troppo rischioso. -

- Dipende. Non c’è nessuno in giro, tranne noi. Sono distratti, ma prima o poi si accorgeranno che li stiamo spiando. -

- E allora? -

- Spetta a te la decisione. Se cerchi sangue, lo avrai. Le donne creano sempre problemi. -

- Sta tranquillo. Non mi interessa un delitto d’onore. -

- Come al porto, tre giorni fa. Alessandro ha pugnalato il protettore della sua Sofia. -

- È morto? -

- Naturalmente. Alessandro ha coraggio, e la forza era buona. Tra due amanti c’è un confine che nessuno dovrebbe superare. -

- Sì. Certo. -

- Quando l’intimità è violata, tutto diventa possibile. -

- Non sono più intimo di Anna, e da molto. Comunque, mi stanno rubando qualcosa. -

- Luca, andiamo via. C’è qualcosa di grave. -

- Sì. -

Partiamo, compiendo un’inversione di marcia che ci spinge accanto agli scagnozzi del nostro signor nessuno. Sto fissando con aria di sfida il più alto, in modo che non si dimentichi tanto presto di me. Ma è un attimo, e già siamo sul cavalcavia. Forse non hanno capito.’’

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Spalanco la porta. In mezzo alla sala c’è Paola; sta controllando le minuscole cassette sparse sopra il tavolo, mentre le sue dita stringono il registratore. Indossa solo una maglietta grigia da giocatrice di pallavolo e un paio di mutandine viola strette sulla vita. Sono così piccole da lasciarla completamente scoperta.

Ricordo: questa è la seconda notte che abbiamo passato nella villa e, come la prima, abbiamo parlato molto poco. I baci, gli abbracci erano senza fine. Solo una gelida bottiglia di vino bianco ci separava, di tanto in tanto. Ogni volta che mi staccavo dal letto la mia sete aumentava, e anche adesso sento la gola secca, come se avessi sprecato troppi liquidi.

‘‘Paola. Si può sapere cosa stai facendo?’’

Anche se la debolezza non mi risparmia, ho finalmente individuato un bersaglio, e l’oscurità dell’alba diventa una specie di luce grigia che trafigge gli oggetti e i corpi, mostra le ossa, l’intelaiatura della realtà. I suoi gesti si traducono in altrettante radiografie, stese sul pannello fluorescente di un medico, un internista. Porta un orologio allacciato al polso.

‘‘Ciao. Ti ho disturbato?’’

Nego, con un cenno faticoso della mano. Mi frastorna questa vertigine piantata nel cervello, una specie di sonda aliena che trasmette messaggi in codice. ‘‘Non ti serviranno per l’intervista.’’

‘‘Ah, dici.... Questi? No, ero curiosa. Non sono abituata ad alzarmi tardi.’’

‘‘Ma il sole non c’è ancora.’’

‘‘Sì. Volevo dire che il mio sonno si interrompe sempre. E poi, è moltissimo che non riposo accanto a un uomo. Sai, sono diventata molto nervosa, ultimamente. Niente è andato come avevo previsto.’’

Sta portando il discorso verso argomenti esistenziali al solo scopo di deviare la mia attenzione. Mi accorgo che la sua intelligenza lavora come l’elica di una barca, che fende l’acqua con ritmo instancabile. Non rallenta, né alleggerisce il battito. Chi viene trasportato in questo modo si scorda presto della presenza di un motore e crede che il battello avanzi per magia, trascinato da un incantesimo degli spiriti del lago.

‘‘Cosa avevi previsto, se è lecito?’’

Ride, accarezzandomi il collo. Ho dovuto raggiungerla, per verificare se tutta la collezione di nastri è stata perquisita. Ma non riesco ad accusarla, perché mi sembra troppo dolce, incapace di un crimine. Intanto, la confusione mentale si è trasformata in un dolore continuo intorno alle tempie. Qualcuno ha annodato una benda rossa sulla mia fronte, e le pulsazioni mi costringono a soffrire.

‘‘Quando ero bambina, immaginavo di avere successo. Cercavo l’amore e un lavoro.’’

‘‘Li hai ottenuti, suppongo.’’

‘‘Dell’amore non parlo. Quanto al lavoro... Sì, lasciandomi andare.’’

‘‘Come?’’

‘‘Le donne devono ubbidire agli ordini e agire di rimbalzo. Difendere la posizione conquistata.’’

Queste confidenze mi imbarazzano, anche se le trovo abbastanza scontate. Spero che tutto non si riduca a un affare di letto. Ma è un’altra trappola.

‘‘E le registrazioni? Hanno a che fare con i tuoi ordini?’’

Ora mi guarda con freddezza: finalmente è sincera. Sì, lei ha recuperato tutto il mistero della sua figura, l’attimo di deriva assoluta di cui certamente non conosce l’origine né il motivo. Si perde nel nulla e riaffiora d’impulso, per gettare contro l’interlocutore il vuoto che ha appena incrociato. Scioglie il ghiaccio e lo usa come arma, senza alcuna giustificazione.

‘‘Ti ripeto che non ho secondi fini. Se non ci credi, pensi male.’’

‘‘D’accordo. Mi scuserai per l’insistenza, ma... Sono stanco.’’

‘‘Per forza, è l’alba. Vieni qui.’’

Sto proprio crollando. Mi sdraio vicino a lei, sul divano, e in pochi minuti ogni cosa scompare, mentre la fatica mi rende passivo, sotto le sue mani. Paola in questo momento è vicina alla grande vittoria; sono sicuro che da molti anni attendeva un incontro in cui dimostrarsi padrona. Mi sente malleabile, liquido, distrutto. Questo trascende anche il significato iniziale della missione, ammesso che ce ne sia uno. Agire sopra di me come un veleno, nell’intento di frastornare il mio pensiero, offuscarlo, rubare un lampo di luce.

‘‘Sei teso. Non ti distrai mai, nemmeno quando ti fermi, quando sei felice.’’

‘‘Non sono più felice. Gli ultimi ricordi che assomigliano alla felicità sono legati alla scuola.’’

‘‘La morte dei genitori ti ha sconvolto. Non è così?’’

‘‘No.’’

Ho risposto meccanicamente, eppure ho detto il vero. Le sue dita mi stanno eccitando, e una scossa di piacere sale dalle gambe al petto. È un aumento di tensione, purtroppo, non un calo. Chissà se le ragazze capiscono quanto è doloroso per gli uomini farsi toccare. Abbiamo bisogno di una meta che ci allontani dalle reazioni eccessive dei nostri nervi. Vedo la folla riunita nel cimitero, e l’assenza di qualsiasi amico. Mi ripeto, però, che nell’oblio così gradito alla mia compagna devo mantenere sufficiente prontezza per cogliere la realtà, prevedere le mosse seguenti. No, non sono matto. Riesco a mescolare passato, presente e futuro, come un atleta sull’onda, attento a valutare la direzione del vento.

‘‘Rilassati. È sbagliato passare la vita a difendersi. Non è me che vuoi? Da sempre?’’

Cerco di controbattere, ma la bocca non si apre perché le labbra continuano a essere soffocate dai suoi baci. Mi piacerebbe sussurrare qualche verità provvisoria, spiegarle che io amavo solo la distanza, e in nome suo ero pronto a inventare qualunque soluzione. Avvicinarsi troppo, no; ora sono costretto a svenire, perduto in questa resa incondizionata.

La sto abbracciando, nella vana intenzione di bloccare il suo corpo. Il sesso mi prende, e i nostri fianchi si muovono insieme, in un estremo rigurgito di rabbia e di orgasmo. Il primo raggio di sole scende sul tappeto, scompigliando un dedalo di linee ornamentali.

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‘‘Era Yannis l’uomo di Anna. Ho appena ricevuto la conferma da un investigatore arrivato a piedi fino a qui, sulla collina dove tra pochi minuti incontrerò il mio futuro socio. Il nostro è un pranzo di affari. Dobbiamo perfezionare le procedure per la spedizione dei container dalla Grecia, verso la Spagna e l’Italia. Yannis, il solitario, ha bisogno di me, perché non esiste nessun’altra persona in grado di garantirgli scadenze brevi e consegne accurate. La sua merce aspetta troppo a lungo nei porti prima d’essere caricata su traghetti di fortuna, guidati da capitani di cui è meglio non fidarsi. Il contenuto invecchia, deperisce, perde valore.

La novità non mi coglie impreparato. Sospettavo che la causa degli ultimi misteri fosse un’amicizia o, per meglio dire, un rapporto di denaro abbastanza simile all’amicizia. Evidentemente lui teme che, per gelosia, io sia indotto a commettere un errore, alzando il prezzo, negando un aiuto. Si sbaglia. Sapere che Anna se la fa con un miliardario mi tranquillizza, anche se questa nuova storia non si sposa con la sua inclinazione al rischio. D’altra parte, Yannis è un uomo dal bel volto funereo, e nessuno sa cosa si nasconde nelle grandi casse di cui vuole organizzare il commercio. Non sarò io a chiedere spiegazioni poco opportune.

Il segretario, fermo sul balcone per segnalare gli ultimi arrivi, mi avverte che una Mercedes è entrata nel piazzale. Fisserò negli occhi l’avversario, senza mai battere in ritirata.’’

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Di nuovo, il senso di vuoto mi respinge. Sognavo d’essere in volo sopra una costa frastagliata e avvistavo una mandria di tori neri, in fuga nella pianura verde, stranamente umida. Gli scogli spuntavano all’improvviso, come denti piantati nell’erba. Il racconto di Anna mi perseguita. Le parole si ripetono.

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‘‘Così, abbiamo chiarito. Yannis mi ha rivelato d’essere pazzo di lei, e questa ammissione lo ha reso per un attimo meno superbo. L’ho rassicurato: non avrà mai fastidi da me, non mi interessa interferire. Ma non credo di averlo convinto. È difficile spiegare la mia assoluta indifferenza, la mancanza di legami con una donna che ho frequentato per tanto tempo. Yannis è di sangue caldo, anche se maschera il temperamento impetuoso sotto un’apparenza calcolatrice. Il suo passato è sconosciuto; probabilmente ha scalato le vette della finanza seguendo l’impulso di fuggire dalla miseria. È il tipico ricco che ha seppellito la famiglia, l’infanzia e la giovinezza, tutto in un colpo solo. Per questo ha paura delle cose che non riesce a padroneggiare completamente.

C’è simpatia tra noi, e ad un esame sommario posso dire che ci assomigliamo. Ma io sono malinconico, perché i miei morti non risorgeranno mai. Lui, al contrario, vibra per un nonnulla, vive sopra una caverna profondissima da cui provengono rumori, piccoli terremoti. Anna è sua, me ne libero, la regalo. La nostra non era una coppia: camminavamo l’uno accanto all’altra per abitudine, divertendoci a guardare cosa capitava, festeggiando gli incidenti della giornata. Sì, la regalo.’’

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La voce del nastro si confonde con il mio incubo, che prima tardava ad emergere, abbellito da una serie di immagini soffuse, plastiche, colorate. Anna sale davanti a me come se una mano immateriale la trascinasse: la faccia è coperta dai capelli, l’espressione è seria, la pelle è pallida e quasi trasparente. È nuda. Sembra che stia per rivolgermi un rimprovero, ma poi si ferma, non osa. Una ferita recente, lunga e profonda, parte dalla sua spalla e arriva fino al seno sinistro; intorno, il rosso del sangue appena raggrumato si unisce ad una macchia bluastra, molto grande, che copre quasi completamente la zona del torace. Altri segni, ecchimosi, graffi, punteggiano il collo fino alla guancia. Forse qualcuno l’ha schiaffeggiata con violenza, costringendola a cadere.

Mi avvicino di quel tanto che mi permetterebbe di baciarla; vorrei darle un soccorso, medicare il taglio, assopirmi con lei in un riposo primaverile tonificante, in cui entrambi potremmo cambiare. Ma una parete invisibile impedisce anche questo minimo gesto. Anna si volta lentamente, quasi volesse reagire. Somiglia a un’Euridice abituata a camminare nell’inferno, senza il suo Orfeo. Mi saluta con un cenno e sillaba una parola che non è sostenuta dal respiro, come fa chi dialoga con un sordo: ‘‘Nulla. Nulla.’’

Mi sveglio, e la luce invade già la casa. Paola sta di nuovo frugando, questa volta nella libreria, alla ricerca di un indizio che per me è irraggiungibile, incomprensibile. Ora è il momento di capire.

‘‘Paola, ascolta. Dov’è finita Anna?’’

‘‘Anna?’’

‘‘Sì, hai sentito bene. Tu sai esattamente quello che le è capitato. Avevate un appuntamento, una settimana fa. Poi, si è persa.’’

Così, siamo arrivati al dunque. Mi pento immediatamente del tono netto, che non ammette repliche dilatorie. Paola si siede, e non esita a rispondere.

‘‘È morta.’’

‘‘Cosa?’’

Il colpo viene dall’alto; è la frustata di un piccolo soldato che aspettava da tempo l’ultima delibera, il sigillo di un guardiano superiore, l’approvazione che il caso concede al destino. La mia vita si ripete e si piega, si spezza.

‘‘Sì, è morta. Poveretta, non lo meritava.’’

‘‘Sei matta? Chi lo avrebbe meritato, allora?’’

‘‘Nessuno, è un modo di dire. Luca, mi spiace sinceramente per lei. E per te.’’

‘‘Questa è bella. Mi fai anche le condoglianze.’’

‘‘Be’, eravate amici... Più che amici.’’

‘‘Siamo stati amanti per due anni interi. E con questo?’’

‘‘Scusa, mi accorgo che sei sconvolto. Colpa mia. Dovevo informarti prima.’’

Sta tentando di accarezzarmi il viso. I dettagli della sua persona mi appaiono mostruosi, sproporzionati, deformi. Non dovevo approvare il suo sbarco sull’isola: tutte le mie paure peggiori si sono realizzate. Ma le afferro con orgoglio la mano.

‘‘Non crederai di cavartela così. Come è successo? E quando?’’

Paola diventa puntuale, quasi burocratica. Intuisco che per lei le disgrazie rappresentano incidenti di percorso da cui occorre ricavare il massimo vantaggio. C’è un’amministrazione delle pene e dei profitti che riposa alle sue spalle, e io mi sono infilato scioccamente in questa terribile contabilità.

‘‘Si è buttata dalla finestra del quarto piano, l’altro ieri. Non penso abbia sofferto. L’abbiamo portata in ospedale, ma era tardi.’’

Vedo Anna precipitare con una piroetta rallentata nell’aria, e associo questa immagine a certi suicidi forzati, delitti politici, simulazioni, regolamenti d’affari. Continuo a interrogare Paola usando una voce più sommessa, su cui grava tutto il peso della rivelazione. Quale lato del corpo avrà urtato l’asfalto per primo? Dove parte la ferita, dove termina?

‘‘Spiegami il motivo della tragedia, allora. Chi c’era con te?’’

‘‘Glaukos, naturalmente. Sono tornata ad Atene per un giorno...’’

‘‘Come sei riuscita a viaggiare tanto in fretta? Mi sarei accorto della tua assenza, se fosse durata più di un pomeriggio.’’

Sorride. Ha l’aspetto di una donna che tratta con garbo il suo amico tanto vanesio e leggero, imperdonabilmente confuso. ‘‘Forse pensavi troppo a me, alle cose che erano accadute tra noi. Non hai badato a una sparizione abbastanza breve. Il momento di tregua ti serviva per raccogliere le idee.’’

‘‘Ma non esiste una nave...’’

‘‘L’aliscafo.’’

‘‘Come?’’

‘‘Sì, da qui a Istanbul. Poi, in aereo fino alla capitale. Di sera, ho seguito la stessa strada, complicata da qualche variante.’’

‘‘No, no. L’aliscafo per la Turchia è a cinquanta miglia da qui.’’

‘‘Barche, noleggiate privatamente e pronte a correre sul mare.’’

‘‘Barche, già.’’ Sono ipnotizzato dal suo modo tranquillo di argomentare: ogni difficoltà viene collocata nella giusta nicchia, affinché riposi per l’eternità, affrancata dal tempo e dai suoi inganni.

‘‘Per rispondere al resto della domanda, Anna cercava con ogni mezzo di incontrarmi. Sì, è stato un errore non sorvegliarla con attenzione, ma non potevamo credere che fosse pazza.’’

‘‘Pazza? E cosa avrebbe provocato la sua pazzia? Cosa l’ha spinta a...’’

‘‘Meglio che tu non sappia tutta la storia.’’

Mi ribello, con le ultime energie rimaste. ‘‘Dimentichi che io sono nella storia a pieno titolo. Faccio parte del gioco.’’

‘‘Ecco il vero problema. Non so fino a che punto sei coinvolto.’’

‘‘Da che?’’

‘‘Lascia perdere.’’

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Respinto anche da lei, così come vengo rifiutato dal cadavere di Anna, sepolto chissà dove, arretro fino alla completa immobilità. Paola si veste, apre le tende, infila dentro una borsa i pochi oggetti che ha con sé e si prepara a partire. Non faccio nulla per convincerla a continuare il suo discorso, che tuttavia sembra insensato, pieno di ambiguità, senza chiave. Il particolare che più mi stupisce è questa mia presunta complicità con altre persone, sconosciute. Se sono colpevole, perché nessuno mi arresta? Dove sta fuggendo lei, perché non scaccia le paure che ora invadono la villa, l’isola e il mare?

Mi saluta, poi esce. Paralizzato, non trovo la forza di replicare, costruendo un’azione dotata di un minimo di coerenza. Come un imbecille, le grido ‘‘Addio’’, mentre sento l’anima svanire, risucchiata da una realtà spettrale. Nemmeno nei giorni peggiori del lutto avevo tanto scordato me stesso.

Qualcosa mi chiama. Stendo infantilmente la giacca sopra la testa.

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