Giovanni Pasetti

Un Tuffo nel Mare Blu

capitolo ottavo

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‘‘Allora, andiamo?’’

‘‘Andiamo? E dove?’’

‘‘Mi hai promesso una gita. Voglio vedere l’altra parte dell’isola. La descrizione del paesaggio migliora l’intervista.’’

‘‘Non credo che mi capirai di più nuotando davanti alla spiaggia deserta. Se non ci sei riuscita finora...’’

‘‘Mi interessa conoscere tutte le tue proprietà, quelle che metti in mostra e quelle che nascondi. Dicono sia bellissimo, là; la natura è vergine, si incontrano animali strani, pesci solitari.’’

‘‘Canguri e struzzi... Sono favole. L’isola non è affatto mia, è dello Stato. Un tempo, prima dell’ultima lite con la Turchia, era in mano ai militari. Esisteva un piccolo aeroporto dietro le colline.’’

‘‘Tu lo usi come base di partenza per le missioni più importanti. C’è sempre un piccolo Cessna che ti aspetta, pronto a decollare.’’

‘‘No, ti sbagli. È assolutamente falso. Ti rivelerò un segreto: soffro di vertigini, e cerco di volare il meno possibile. La mia presenza non è mai necessaria quando si tratta di concludere un affare. Oggi tutto funziona per radio, o via satellite.’’

‘‘Quindi, di cosa hai paura? Non riuscirò a scoprire nulla di compromettente, anche se mi accompagni.’’

‘‘Vai senza guida. Sei libera.’’

‘‘Preferisco essere scortata da un uomo. Glaukos è rimasto ad Atene, sai.’’

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Così, siamo partiti. Ho ceduto perché era assurdo continuare a negarmi; in fondo preferisco sorvegliarla di persona, nella speranza che un gesto la tradisca e si arrivi finalmente al grande chiarimento. Sotto il sole delle undici, impietoso, stiamo salendo lungo un viottolo niente affatto ombreggiato; abbiamo le spalle rivolte al mare e la testa un poco china. Due cappelli di paglia, uguali, ci riparano dalla violenza dello zenit mediterraneo. La decisione di incamminarci in quest’ora fatale, molto più adatta al riposo o al pranzo, corrisponde a una mia reazione normale, tipica: quando vengo provocato rispondo di conseguenza, e alzo la posta al massimo livello. Mi piace espormi alla fatica, creare un quadro di contrasti, un panorama complicato in cui sia più facile difendersi. Utilizzo le avversità come uno scudo, nella presunzione d’essere il migliore, se la gara diventa davvero dura.

Ora, il sudore cola sulla fronte e impedisce a entrambi di parlare. Bisogna dosare il respiro, abituarsi a un passo regolare che si accordi con il ritmo abbastanza accelerato del cuore. Sento il petto battere sotto lo sforzo. Vorrei misurare le pulsazioni di Paola, che precedo di un metro scarso; le ho dato il vantaggio di restare indietro, appena al riparo dal vento, dalle folate più brusche che percorrono le pendici di questi mezzi monti, creati solo per precipitare in mezzo alle onde.

Appoggio sopra un masso il tallone della scarpa da ginnastica, interrompendo la scalata. Non mi volto, e declamo con voce decisa alcune frasi imparate a memoria: ‘‘È meglio raggiungere la casa abbandonata, quel muro rosa coperto dagli alberi. Poi, proseguiremo a mezza costa fino al bosco e oltre. Mangeremo dalle suore. Marta e Arianna saranno felici di ospitare due pellegrini quasi perduti.’’

Cerco di cogliere un movimento, in risposta, ma ascolto semplicemente un respiro cadenzato, puntuale quanto il soffio fresco dell’aria che viene da nord. Riprendo la marcia, imponendomi di non riflettere troppo; probabilmente lei si sta abituando al terreno e dosa le sue forze, come fa di solito. Con intelligenza, lascia che il primo della classe si sfianchi, per stupirlo con piccoli slanci d’affetto, deviando il gioco di un metro o due, complicando le cose. Anche se le ho consigliato di coprirsi le gambe per evitare la puntura dei rovi, ha preferito indossare solo un paio di pantaloni corti. Porta con sé uno zaino minuscolo in cui potrebbero trovare posto altri vestiti, libri, medicine o armi.

‘‘Sei stanca?’’

‘‘No, per niente.’’

‘‘Vuoi che ci fermiamo?’’

‘‘Non c’è ragione.’’

Così lei è stata sempre, infatti. Quando tentavo di aiutarla, con un gesto goffo e galante uscito per caso dalla mia apparente timidezza, rifiutava infastidita. Al contrario, se rimanevo muto e imbronciato, affaticandomi in un lungo dialogo interiore che aveva come unico tema la diffidenza verso le donne, allora ricevevo all’improvviso una richiesta, quasi una supplica. Ma siamo cresciuti, ormai, e l’antica rivalità non dovrebbe avere più nessuna importanza.

Dopo la casa diroccata ci accoglie la macchia di alberi e di arbusti; la temperatura si abbassa di qualche grado e il profumo delle foglie ci avvolge. Il rumore delle cicale, e di altri insetti che continuano imperturbabili a mangiare e a correre nella calura, si stempera nel gioco delle cortecce sfiorate da animali meno chiassosi, formiche e farfalle. Mi accorgo di quanto mi intontiva, prima, quel suono ossessivo; ora, invece, prevalgono le impressioni visive, il contrasto tra il buio del verde e il raggio di sole che spunta senza preavviso.

‘‘Sono allori.’’

‘‘Come?’’

‘‘Allori, dico, le piante. Non senti il profumo?’’

‘‘Sì, forse. Ma non respiro molto bene. Sarà l’altezza.’’

Rido. ‘‘Ti ricordi le poesie che studiavamo al liceo? Questi sono i rami prediletti dagli dèi. Venivano posati sopra il capo dei vincitori, a Olimpia. Erano il segno del favore celeste.’’

‘‘Sì, è vero. Chi si era trasformata in alloro? Una ninfa, mi pare. Persefone?’’

‘‘No, Persefone non c’entra, quella è una storia diversa. Si chiamava Dafne, ed era inseguita da Apollo.’’

‘‘Perseguitata, piuttosto. Non è piacevole subire violenze, nemmeno quando vengono dall’alto.’’

Siamo sul ciglio che separa il versante marino dalla montagna più grande. Una vallata dipinta di verde scuro, umida sul fondo e trasparente in superficie, si stende sotto i nostri piedi. Indico il campanile bianco della chiesa, a due ore di strada. È così lontano da sembrare un’imperfezione della foresta, il nido di un picchio sporcato dalla bava candida dei bruchi delle querce. Non voglio guardare Paola negli occhi, perché mi sono accorto che dopo aver parlato di violenza qualcosa è cambiato. Ho la sensazione che mi stia paragonando al resto della sua vita, avventure che io ignoro del tutto. Sì, non mi sbaglio: la dolcezza del suo sorriso è troppo intensa, mi ferirebbe, mi costringerebbe a precipitare.

‘‘Ripartiamo. Altrimenti faremo tardi.’’

‘‘Non vuoi sapere nulla?’’

‘‘Nulla... A che proposito?’’

Non risponde, e mi sorpassa aumentando leggermente l’andatura. Le sue spalle sono strette, ma un collo perfetto nasce dalla maglietta a righe, là dove spuntano i capelli della nuca, tagliati di fresco.

‘‘Paola, ti è capitato qualcosa di grave?’’

Non si degna di rallentare, ma trova ugualmente il tempo di stupirmi con un’affermazione rapida e dolente: ‘‘La realtà è diventata grave. Ma tu hai deciso di restare nascosto qui, e di non preoccupartene più. Hai proprio ragione.’’

Non sono capace di replicare. Osservo d’istinto il cielo e vedo che tre nuvole navigano nei dintorni del sole, trascinate da una brezza di cui posso solo supporre l’intensità. Sono isole appaiate, adatte a proteggere la riunione di tre immortali, con molti problemi spinosi all’ordine del giorno e nessun desiderio sincero di risolverli.

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Abbiamo scollinato senza altre soste, ed eccoci ora davanti alla chiesa, una costruzione a pianta quadrata con il portone sempre aperto. Entriamo in un refettorio austero; in verità è una stanza nuda, con un’immagine bizantina della Madonna appesa sulla parete di sinistra. In mezzo, suor Marta allarga le braccia e non dice nulla, immobile nel suo saluto ecumenico.

‘‘Marta, le presento Paola. È una mia vecchia amica.’’

Paola si avvicina e accenna ad un leggero inchino; come al solito, è a suo agio dovunque. Marta si rallegra visibilmente e la bacia sulla fronte. La benedizione improvvisa non mi stupisce: conosco la sollecitudine di queste religiose, abituate a ringraziare Dio per ogni fremito della natura, dal levare del sole fino al tramonto, nel buio della notte fino al primo apparire dell’alba.

‘‘Padron Luca, era tanto che l’aspettavamo.’’

‘‘Lei è troppo buona, Arianna. Troppa grazia per un peccatore.’’

Suor Arianna sembra costantemente in procinto di crollare, seppellita dalla sua stessa devozione. L’ardore della Spagna la brucia, in completo accordo con l’afa estiva della nostra nuova terra. Noto con stupore che siamo tutti stranieri, e che tutti cerchiamo qualcosa. Il volto della religiosa è quasi scomparso, tra le rughe e il vestito nero, indossato per attirare il pulviscolo di luce del mezzogiorno. La giovane, al contrario, veste un abito grigio perla e si comporta come una fonte d’acqua fresca che intende restare pura a qualsiasi costo, per essere bevuta con il massimo sollievo.

‘‘Offriamo del cibo ai viandanti, sorella.’’

‘‘Sì. Ho raccolto le verdure nell’orto, stamattina, quelle che non sono ancora avvizzite.’’

Ci sediamo a tavola, un lunghissimo piano di legno raramente utilizzato. La cortesia di Marta è tale da costringerla a servire dell’ottimo vino in piccoli bicchieri di cristallo.

‘‘Dove siete diretti? Al tempio?’’

‘‘Marta, non essere curiosa. Luca vorrà mostrare i boschi a questa bella signora.’’

‘‘Andiamo verso la spiaggia ovest. Paola vuole esplorare tutta la mia vita.’’

‘‘Così.... La spiaggia di cenere. È abbandonata. I pescatori la evitano, da quando esiste l’altro molo.’’

‘‘Perché, di cenere?’’

Arianna si pulisce le labbra pallide dopo aver inghiottito una fetta sottile di formaggio di capra. Sembra aver dimenticato ogni tipo di contatto con l’esterno; anche nei gesti più intimi si compiace della sua estraneità rispetto al mondo. D’altra parte, questo stesso mondo la riempie di gioia nel momento in cui le appare come il pensiero magnifico di un creatore supremo.

‘‘La sabbia è blu, figliola. Un miracolo di Nostro Signore.’’

‘‘C’è una spiegazione scientifica. Un deposito fossile è sepolto a qualche metro di profondità, e l’acqua del mare risale in superficie dopo essersi impregnata delle particelle di carbone.’’

‘‘Quindi, i miei piedi toccheranno i resti di animali e di piante vecchi di millenni.’’

‘‘Tutto nell’universo è vecchio di millenni, Paola. Solo noi siamo giovani e stupidi.’’

Marta aggrotta le sopracciglia. Benché abbia quasi una venerazione per me, questo appunto sarcastico la disturba. Ma non osa replicare e guarda con i suoi grandi occhi scuri la mela che tiene in mano, paragonando forse la sua buccia levigata alla presunzione degli uomini. Non mi ha mai spiegato le ragioni vere che l’hanno condotta fin qui. Ho sentito parlare di una crisi mistica arrivata al limite del suicidio, di tagli ai polsi, di epilessia.

‘‘Comunque, è una bella spiaggia. Se non riusciremo a tornare, dormiremo nei capanni delle barche. Sono vuoti, ma due letti si trovano.’’

Le donne annuiscono, con intonazione diversa. Sono costretto ad ammettere che un campo di pace dai confini e dal significato incerto si è stabilito tra di noi, nei primi minuti di questo pomeriggio. Il tempo, giunto a metà del suo viaggio, si è quasi fermato e assomiglia ad un autobus che aspetta con le portiere spalancate una coincidenza, uno scambio di passeggeri. Vorrei farlo ripartire, ma nessun conducente è alla guida: Arianna sorride a Paola, che ricambia con naturalezza fingendo di conoscerla da sempre. Marta, dal canto suo, snocciola il rosario: il grano scende lungo il filo e nel silenzio ascoltiamo un battito secco e leggero. Perché mai non riesco a pensare? Forse mi accorgo d’essere braccato, come una lepre arrivata all’incrocio delle strade che l’attendevano da secoli, pronte a diventare lo scenario di uno sparo, di una capriola, della morte e della rinascita.

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Divido le fronde con il corpo, rimproverando me stesso per avere scelto una scorciatoia così faticosa.

‘‘Ecco. Davanti a te c’è il mare.’’

Il panorama è certamente molto suggestivo. Il colore ocra delle pietre e dell’argilla, prima intervallato da sfumature rossastre, vira con decisione verso l’indaco nello spazio di pochi metri. E, poiché nessun bagnante si interpone tra la vegetazione e l’acqua, il terreno appare immediatamente coperto dalla tinta blu delle onde, quasi che un’enorme penna avesse sommerso con il suo inchiostro la linea della costa, ridotta ad una grande carta assorbente. Tutto ricorda il calamaio, il banco e la scuola; gli alluci nudi affondano nel terriccio e, con immensa meraviglia del turista, non si sporcano. Qualcosa di strano si muove anche nell’aria.

‘‘Non sarà velenoso, no?’’

‘‘Figurati. I greci sarebbero già scomparsi. Prima della guerra il centro principale era qui.’’

La sua paura è molto buffa, e non si accorda con la presenza di spirito che dimostra di solito. Mentre ci avviciniamo alla riva, diventa chiaro il motivo reale del cambiamento: l’ho sorpresa, accompagnandola nella baia incantata e costringendola ad ammirare un luogo assolutamente straordinario. Io sono abituato a questo spettacolo, l’ho scoperto pochi giorni dopo il mio sbarco. Allora non aveva suscitato in me nessuna forte emozione, perché ero pronto a fronteggiare qualsiasi miracolo. Mi sembrò di ricevere una ricompensa dopo gli squallori che avevo patito, e la bellezza uguagliò il dolore, annullandosi.

Osservando Paola, adesso, i dettagli della visione sono più intensi: l’ulivo piegato dal vento si allunga in diagonale verso la schiuma, come se volesse costruire un ponte tra i regni della terra, dell’aria e dell’acqua. Distogliendo per un attimo lo sguardo dai particolari, aprendo completamente la pupilla, si vede un albero radicato nell’azzurro, una specie di pianeta frastagliato che si innalza immobile nel cosmo. Voltandomi, invece, la doppia barriera del bosco verde e delle montagne rosse si trasforma in un muro artificiale che allontana questo paradiso dai problemi consueti dell’uomo.

‘‘Tu ami l’isola, Luca.’’

Mi ha chiamato per nome, con un tono di voce profondo. Anche lei viene sedotta dall’intervallo che ci sta imprigionando. Tutto può accadere negli intervalli, dalla viltà all’eroismo più ingenuo.

‘‘È ovvio. Ho intenzione di vivere qui per sempre.’’

No, non è questo il modo. Non ho ancora il coraggio di spiegare, e mi lascio cullare dall’esitazione. Ci ripariamo dentro un anfratto costruito da un gruppo di rocce, in attesa che le ombre si allunghino e i rami dell’ulivo possano schermare meglio la nostra pelle. Ma, come era prevedibile, la quiete dura poco: Paola ha assorbito velocemente lo stupore e vuole già mettermi alla prova, controllare se io sono davvero il padrone del giardino che ci protegge.

‘‘Potremmo tuffarci. Che ne dici?’’

Temevo esattamente questa proposta. Tento di difendermi ricordando la violenza del sole, ma sono troppo abbronzato per rendere plausibile una scusa del genere. A pochi passi da noi le onde cadono sulla spiaggia, con un vigore composto che ha l’effetto di mescolare ancora di più i colori, come se un pittore avesse deciso di lavare tutti i suoi pennelli proprio lì, dove ci aspettano i pesci e le meduse.

‘‘D’accordo, se ci tieni. Nuotiamo in fretta verso il largo, in direzione del vecchio pontile. Ti voglio mostrare una cosa.’’

Un cenno d’intesa e siamo già in mare. Appena tocco il nuovo elemento, che sembra freddo solo per il grande calore dell’estate, le membra si rilassano e all’improvviso diventano reattive. Nel mio stile a rana, un poco goffo ma efficace, posso finalmente contrastare la resistenza della mia compagna. Sì, rifiutare la gara con lei era semplicemente un’illusione, nata dal desiderio e dal pudore di non svelare le ultime armi.

Abbasso ritmicamente la testa sotto il pelo dell’acqua, spalancando gli occhi per ammirare il filtro azzurro del liquido denso, in cui si muovono alghe filiformi attaccate al fondo, oscillanti nel flusso. Capisco quanto Paola mi assomiglia e sento accanto a me il procedere regolare dei suoi fianchi. Non mi giro, ma è come se facessi parte di un branco di due animali, una coppia, insomma. Posso aumentare la bracciata fino al limite estremo dello sforzo, e lei non si allontanerà di una spanna. Siamo uniti dallo stesso lenzuolo, dalla medesima aria che respiriamo, dalle bollicine d’ossigeno pronte a risalire insieme, nel brindisi di uno spumante secco, senza sapore.

Con la coda dell’occhio scorgo la bandierina gialla che indica l’ultimo attracco del molo e mi fermo, dondolando placidamente le gambe. ‘‘Ecco, guarda dietro di te.’’

Liberandosi dalle gocce che le imperlano il viso, si raddrizza a sua volta, sempre più curiosa. Il punto che abbiamo raggiunto consente di allargare la prospettiva: la collina su cui termina la baia si schiaccia e viene superata da un altro capo. In cima appaiono quattro colonne di pietra, collegate da un pezzo di architrave senza fregi. Sono le rovine di un tempio dorico, abbastanza elegante. Nulla di eccezionale; ma la semplicità e il rigore del monumento, piccolo quanto il segno lasciato da un eroe durante il suo pellegrinaggio, valgono tutto il Partenone e le sue armonie scontate.

‘‘Luca, è stupendo. E ci si arriva?’’

‘‘È bello proprio perché non ci si arriva. Per vederlo occorre spingersi fin qui, con l’idea di solcare l’Egeo verso il continente. Una fatica inutile, prima della ricompensa.’’

Si è avvicinata, disegnando un circolo. ‘‘È vero, ma perché spiegare tutto? Secondo me quelle colonne sono abbandonate da moltissimo tempo.’’

‘‘È probabile. Qualche terremoto avrà abbattuto le altre, e un fulmine avrà acceso un incendio, bruciando il soffitto di legno.’’

‘‘Un sacrilegio.’’

‘‘Resta la bellezza.’’

‘‘Ti pare poco?’’

Ora lei mi tocca la spalla, mentre tenta di galleggiare sopra un’onda che si disfa nell’immenso lago della sera. Le nostre guance sono obbligate a sfiorarsi, perché il movimento alternato dei corpi produce una serie di minuscoli incontri, di abbracci inconsapevoli, di addii non voluti. Paola ruota, come se una corrente la costringesse a mettersi in una posizione parallela alla mia. Ci baciamo, per la seconda volta nella nostra vita: mi meraviglio di non sentire il sapore del sale, quasi che le sue labbra fossero così dolci da annullare ogni gusto diverso.

È un bacio lungo, tra un uomo e una donna che si riposano nei vuoti lasciati dalla superficie ormai calma, mentre la luce diventa una sostanza che inumidisce il cielo. Siamo intimi, ci sfioriamo, ci sosteniamo a vicenda. Per un attimo penso che annegheremo. La porterò con me nelle grandi distanze della profondità marina, dove il chiarore si rovescia verso il basso. Angeli precipitati ci saluteranno, statue corrose dalla vegetazione seguiranno la nostra corsa. La sua lingua batte sui denti, sul palato, si inarca a coprire la maggior parte della bocca.

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Mi sveglio, ed è notte. Sognavo, ma ora non ricordo il contenuto del sogno, né se mi faceva paura o piacere. Siamo distesi sotto i capanni, dopo avere allestito un giaciglio di fortuna con un vecchio materasso e molte foglie, scelte tra le più morbide. Le travi sopra di me sono smangiate e si aprono sulla volta celeste. Paola è al mio fianco e dorme tranquillamente, dopo l’amore. Non ho alcuna intenzione di chiamarla.

Sono certo che oggi è luna nuova; le stelle non sono disturbate da uno splendore più intenso, per quanto posso capire osservando i piccoli spiragli a cui l’occhio si deve adattare. Calcolo a memoria i giorni trascorsi dall’inizio del mese e tranquillamente mi ripeto che è proprio così; anche la marea si stende in abbondanza sopra la baia, a dieci metri dal rifugio in cui dormiamo. Ma non mi accorgo del flusso o del riflusso: preferisco concentrarmi sull’immobilità dei pianeti sospesi sulla mia testa, indovinando il disegno che gli astri ricamano nel buio. Per quanto cerchi di sminuire l’accaduto, vengo smentito dall’impressione di gioia che insiste a trascinarmi. È l’effetto di una droga insolita, un fungo dalle proprietà stimolanti, un farmaco potente che aiuta i miei tessuti. Il sangue dimostra di esistere e pretende i suoi diritti.

Bruscamente, mi alzo a sedere e mi smarrisco in altre riflessioni. Guardo il legno, bruciato in alcune zone da un incendio simile a quello che molti secoli prima ha divorato il tempio. Un uccello lancia un grido alle mie spalle, forse per avvisare chi gli sta volando accanto, e ordinargli di non proseguire nell’esplorazione del territorio. Raggiungo a piedi nudi una delle feritoie e contemplo il buio, mentre il cuore continua a pulsare forte. Non posso rifiutare la ricchezza degli attimi, che ora sembrano granelli di uva succosa, oppure mercanti orientali pronti ad offrire merci esotiche, rare e affascinanti provviste. Sorrido delle mie associazioni decadenti; ma ogni tenda dorata fa da schermo al deserto, nella fioritura selvaggia di un’isola perduta nell’Egeo.

La ninfa ha scosso i rami, è tornata a rivestire sembianze umane, ha tolto le radici dalla pietra in cui erano conficcate. Banalmente mi chiedo se mi sono mai innamorato davvero di una ragazza. Il momento felice, è inutile dirlo, sembrava concluso, insieme al resto della giovinezza. Salutavo ogni nuovo giorno con indolenza, e mi capitava di riconoscere nella lentezza dei gesti lo stesso torpore che senza dubbio mi colpirà negli ultimi istanti della vecchiaia, quando ogni cosa apparirà identica all’altra, perché i giochi saranno finiti da molto. Comunque, in realtà credo di trovarmi di fronte ad un fuoco fatuo, che non riuscirà a scaldarmi oltre...

Paola si è mossa. Lasciando la notte dietro di me, vedo l’espressione del suo volto, un invito gentile a rimanere con lei. Torno nel letto, e quando poso le ginocchia sulle foglie sono una volta di più sorpreso dal suo calore. Il profumo dell’erba si mescola all’odore della pelle. Siamo nascosti nel centro dell’universo, là dove i pensieri di morte vengono implacabilmente respinti. Mi morde il labbro e facciamo l’amore.

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