Giovanni Pasetti

Un Tuffo nel Mare Blu

capitolo settimo

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Non un solo rumore arriva nella stanza. Riposo, o almeno faccio finta, contando le strisce che il bagliore lunare disegna dopo aver attraversato la tenda. Ho assistito molte volte nella mia vita a episodi bizzarri, che non sembravano trovare alcuna giustificazione e nascevano così, per puro caso, evidenziando uno squilibrio insanabile nel mondo, tra gli uomini e le loro stesse azioni. Il fallimento di un’impresa fiorente, ad esempio, o la rottura di un’amicizia profonda a causa di un banale malinteso; follia, si poteva chiamare. Ma le responsabilità non apparivano mai chiare, e in mancanza del movente il sospetto di una macchinazione svaniva. Tutto veniva lasciato all’evidenza di un comportamento, al pianto della donna, ai poliziotti che devastavano il locale, al suicidio del buon padre di famiglia.

Oggi nessuno è morto, per fortuna. La prodezza di Paola si è risolta in uno sbuffo di schiuma dopo un volo di almeno dieci metri. Analizzando il gesto, sono costretto a immaginare una perlustrazione accurata del fondale, di giorno, in modo da evitare più tardi l’impatto contro la lastra di roccia che la marea nasconde a malapena. Già dal suono del corpo sull’acqua avevo capito che lei era salva; ma non ho resistito, come tutti gli altri, all’impulso d’affacciarmi nel buio per cogliere il riflesso del costume, la macchia colorata che riemergeva dall’abisso.

‘‘Guarda come nuota! Sembra una sirena.’’

‘‘Io non ci sarei mai riuscita.’’

‘‘Come i pescatori di perle in Polinesia. Ma voi non siete nati sul mare. Perché è tanto brava?’’

Già, perché? Da molte ore sto cercando di rispondere, agitandomi tra le lenzuola sgualcite. Vedo solo due possibilità: forse la natura le ha regalato davvero un istinto di sopravvivenza quasi animale, che lei usa di tanto in tanto, con raffinata malagrazia. Si spiegherebbe così la sua sicurezza, e la rapidità con la quale elude i miei contorcimenti, il mio imbarazzo. Oppure...

Oppure è una grande falsaria, e ogni dettaglio del suo universo è stato costruito, studiato, organizzato. Infatti, e l’intuizione arriva all’improvviso, la padronanza abituale che dimostra sulle cose potrebbe derivare da un addestramento. È troppo liscia, in un certo senso, priva di appigli, regolare; si muove in modo felpato, non urta mai contro gli ostacoli, previene le domande. È rapida, ma lo è sempre, e questo accade raramente alle persone comuni. I tipi svelti, di solito, seguono un ritmo interiore che fa a pugni con il procedere normale degli eventi: pensano velocemente, e talvolta sono costretti ad aspettare l’esito di una miriade di contrattempi. Allora girano a vuoto, agitando in modo isterico un piede o la mano, molto contrariati per una pausa lunghissima che ai loro occhi è totalmente vana.

Paola, invece, non ha il minimo problema: la sua efficacia significa che il percorso è preordinato, che il sasso era là dove la schiena non avrebbe battuto, che il calendario sfila secondo date previste. Rimane allora da individuare il motivo della sua missione, e il centro misterioso a cui spetta il controllo del piano, il via libera finale.

No, è tutto assurdo. Per quanto la mia immaginazione sia paranoica, non riesco a credere d’essere il bersaglio di un’attività spionistica, da servizi segreti. Dovrebbe esistere una guerra tra due organizzazioni contrapposte, un traffico d’armi da stroncare, un complotto rivolto a sconvolgere le gerarchie del potere. Non sono così importante. Se avessi interferito con i disegni di qualche politico internazionale me ne sarei accorto subito; mi avrebbero avvertito, minacciato, ricacciato nell’ombra. D’altra parte, io pago molti informatori proprio per evitare queste storie; so qual è il mio territorio, e non sconfino. Finora ho resistito grazie a una certa abilità, che mi vieta di estendere oltre misura il raggio d’azione. Eppure, la sua dosata malizia sbilancia la mia vita, che oggi sembra svuotata, erosa dall’interno.

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Ascolto il vento che soffia. Nulla sbatte, perché ho eliminato le superfici esposte, le tende, i rami sporgenti degli alberi; così, una forza incontrollabile si abbatte di tanto in tanto sulle pareti della villa, le vuole spostare, le urta. Reagirei meglio, con maggior determinazione, se non fossi intimorito dall’assenza inspiegabile di Anna. Ricordo i suoi polsi, segnati dalle ferite delle iniezioni, e mi scopro in pena per lei. Per la prima volta da quando la conosco, la vorrei salvare.

È strano: non parlavo così nemmeno nel momento in cui era veramente minacciata, quando uno spacciatore la ricattava per costringerla a vendere roba sui marciapiedi. Era primavera, allora, e io sedevo con indolenza accanto al bancone di un bar tra i più malfamati di Atene, osservando quella figura pallida, con i capelli spettinati e la gonna troppo corta. Era appostata all’incrocio di due strade sporche e cercava disperatamente di trovare un cliente ricco a cui smerciare in un colpo solo tutta la droga che nascondeva in tasca.

Non mi ha fatto pena, no; era il suo destino, il suo desiderio, la gioia di penzolare sul ciglio della montagna e lasciarsi sommergere dall’adrenalina, una sostanza molto più insidiosa di altre, un farmaco prodotto dal nostro stesso corpo. Aveva deciso di gettare via la voglia di sicurezza, il sentimento che le donne alimentano fin dai primi anni della loro infanzia, come una pianta rampicante e un poco carnivora. Respirava nel vuoto, felice che io avessi scelto la parte dello spettatore.

Ma è diverso, ora. Il campanello d’allarme suona, quasi i ruoli si fossero invertiti. Ogni dettaglio del suo viso mi ritorna illuminato dalla luce di un sacrificio inatteso; la paragono, senza volerlo, agli uomini che sfioro nelle città, giunti al limite stesso dell’esistenza, all’esaurimento delle energie, all’ultima curva. Mi accorgo che è stata trascinata lontano in modo imprevisto, come un bambino cade sotto il fuoco nemico mentre pensa alla partita da giocare nel pomeriggio, e immagina un pallone calciato verso le sue gambe.

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Odio il telefono, ma devo sapere. Devo almeno tentare di sapere.

‘‘Chi è? Chi parla?’’

‘‘Petros, sono Luca. Hai scoperto qualcosa?’’

‘‘Ah, signore... Non...’’

‘‘Svegliati, Petros. Ho bisogno di notizie.’’

‘‘No, purtroppo non so niente. Le assicuro, ho corso tutta la notte. Conosco i quartieri del porto come le stanze di casa, ho abbastanza soldi per comprare tutti i ladri del Pireo. Ma nessuno l’ha notata.’’

‘‘Impossibile.’’

‘‘È proprio così, signor Luca. Sembra scomparsa nel mare. Nemmeno i pescatori l’hanno incontrata, lungo le rocce della darsena. E la luna oggi è piena. Non si riesce a scappare senza essere visti.’’

‘‘I suoi fornitori abituali? Li hai controllati? Potrebbe essere vittima di un regolamento di conti. Un errore.’’

‘‘Non è più nel giro. Da quando frequenta il dottor Yannis compra solo una dose ogni tanto.’’

‘‘Non è dottore. Non è neppure medico.’’

‘‘Come?’’

‘‘Yannis, dico. Faresti meglio a tenerlo d’occhio. Forse è lui il problema.’’

‘‘Si sono separati qualche tempo fa. C’è stata una lite e lui l’ha picchiata. Ho un testimone.’’

‘‘Yannis mi ha mentito, ovviamente. E Paola, hai informazioni su di lei?’’

‘‘No.’’

‘‘No? Perché ti pago? Per mantenere le tue quattro donne e i loro sei figli?’’

‘‘Sono veramente triste. Questo è un affare insolito, difficile. Io sono bravo, ma sento d’essere confuso. Mi vogliono portare fuori strada.’’

‘‘Chi? A chi pensi?’’

‘‘Signor Luca, ci sono false piste che mi fanno inciampare. Ieri, il mendicante cieco che vive sotto il viadotto mi ha dato un indirizzo di periferia. Ho mandato un ragazzo a bussare a quella porta. Nessuno; era un palazzo ancora in costruzione. Secondo me, siamo minacciati.’’

‘‘E chi è la minaccia? La polizia è tranquilla, i contrabbandieri sono in pace.’’

‘‘Il pericolo viene dagli amici, credo. Quel Glaukos, per esempio...’’

‘‘È rimasto ad Atene.’’

‘‘Sì. Io l’ho già incrociato, molti, molti anni fa. Era giovane, ma cattivo. Nessuno pronunciava il suo vero nome. Dicevano che era un macedone, un uomo dei monti.’’

‘‘E con questo?’’

‘‘Sono persone feroci, si legano per sempre a chi li ha sfamati. Dormono con gli animali e sono abituati a reagire d’istinto. Se vogliono una preda, la inseguono fino alla morte.’’

‘‘Sarà il caso di tenerlo d’occhio.’’

‘‘Sì. Ma lui rimane calmo, quasi addormentato. Passa il tempo giocando a carte da solo, sdraiato nei giardini, vicino alla zona archeologica. Quando il sole tramonta, ritorna nel suo appartamento e non esce più.’’

‘‘Va bene, Petros, continua. Hai tutta la mia fiducia.’’

‘‘Grazie, signore. Io le sono devoto.’’

‘‘A presto.’’

‘‘Sì.’’

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Ormai ho abbandonato il letto, e mi aggiro lungo la vetrata che si apre verso la terrazza. Senza fermarmi mai, programmo grazie al telecomando brani di musica che immediatamente mi annoiano; così, interrompo più volte la sequenza, spezzo la melodia, blocco il batterista prima del rullio finale.

Le ore passano, e addormentarsi è ormai una meta irraggiungibile; sembra che nel punto del mio cuore dove nascono le idee una spada tagliente si muova a ritmo continuo. Alla coscienza arrivano solo frammenti, tronconi di parole, frasi disturbate da un altro suono, perentorio e privo di interpretazioni. Inutile domandarsi il senso; la statua antica trema in fondo al corridoio, incerta se avvertirmi della forza e dell’efficacia di un nuovo dio. La ragione ha abbandonato il campo, e non vuole mettermi in guardia perché sa bene quanto sia rischioso affrontare la battaglia. A trecento chilometri da qui, oltre le onde già toccate dall’alba, la guerra tra le divinità dell’Olimpo imperversava, scuotendo le fondamenta dell’ordine celeste. Tutto per una donna e i suoi gioielli.

Ascolto un nastro registrato dopo l’arrivo di Paola sull’isola: ‘‘Se mi sposto, sbaglio in ogni caso. È questo il segno della presenza femminile. Possiamo incontrare cento ragazze senza essere affatto turbati, e restare invece indifesi quando sediamo a fianco di una sconosciuta, che non si è nemmeno accorta di noi. Poi ci guarda, e la distanza non ci garantisce, la nostra allegria scompare. Gli uomini diventano veramente seri in una sola occasione. Quando aspettano il bacio della sposa.’’

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La mia voce non mi aiuta, come al solito. Il sole sorge, sollevando una nuvola all’orizzonte, pallida quanto una macchia di crema che si stende sopra la giacca azzurra di un convitato esausto, dopo l’ultimo dessert. Ho un leggero mal di testa e penso che recupererò il sonno perduto scegliendo la spiaggia più appartata. Se ogni cosa corre intorno a me, potrò riposarmi; lei forse si distrarrà, osservando la bellezza di una giornata qualsiasi.

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