Il Duca di Atene

Ventottesimo

Il peschereccio che avevano affittato era molto piccolo. Di lunghezza misurava, da poppa a prora, quanto il tragitto di un sasso lanciato dal braccio di un bambino.

Andrea era già dominato dal procedere faticoso dei suoi pensieri. Ogni oggetto che il suo sguardo incontrava, e ogni altra immagine, era un pretesto, un insignificante supporto della sua prepotente coscienza. La coscienza sembrava essere l'ultima illusione, la sostanza di tutti i sogni. Liberarsene voleva dire approdare sulla spiaggia di un universo trasformato.

"Non più così grande e povero insieme, questo cerchio che ci schiaccia o ci avvolge solo di parole lontane, se lo esaminiamo dall'interno o l'afferriamo dall'esterno. La coscienza è un ostacolo, ma... Al di là, c'è qualcosa?"

Il mare non sembrava infinito: isole di ogni dimensione lo punteggiavano, e strette strisce di terra sabbiosa. Si trattava infatti di una laguna. Anch'essa era vasta abbastanza, tanto da ricordare il vuoto aperto e la nebbia invernale.

"Eccomi al comando di questa barca. Sento d'essere arrivato a una svolta importante della mia vita." Talvolta, si gonfiava di presunzione: "La mia vita sta cambiando, esce dagli stretti margini della speranza di successo, della fatica quotidiana. Emerge. Ho passato anni cercando di raggiungere una posizione che mi regalasse tranquillità, fascino e influenza sui destini altrui. Non mi interessava, allora, essere ricordato, non volevo legare il mio nome a nulla. Mi difendevo solo dagli errori che fanno i ragazzi della grande città, viziati dagli spettacoli gratuiti. Così, le amicizie coltivate nel tempo, nutrite, alimentate, mi hanno offerto questa opportunità. Ora navigo sopra un battello che segue la mia rotta, e la troupe ascolta i miei ordini, senza discuterli più. Riuscirò. Per quanto la nave sia fragile e il mare tanto forte, costruirò un prodotto accettabile: conosco le regole, so piegarle a mio vantaggio."

Ragionava così, come tutti. "Le cose di me che finora ho nascosto sono le mie qualità. La moda del giorno era fingersi peggiori degli altri, e non raccontare un'idea geniale per paura che qualcuno la rubasse. Io non mi vergogno più. Voglio giocarmi fino in fondo il poco che ho."

Era il momento giusto? Rivelare la propria personalità decisa, audace, imperiosa, smentire chi lo giudicava un arrivista, colpire chi lo credeva un sognatore. Riunire i due aspetti strabici in lui sovrapposti. Un programma ambizioso, un'eccessiva valutazione di sé: in certi casi tutto risulta controproducente, e l'inerzia del mondo respinge la spinta mal indirizzata.

"Non sarebbe mai esattamente il momento giusto. Ascolti il vento per cogliere il momento favorevole all'impatto, esiti, analizzi sfumature così tenui da perdersi l'una nell'altra. Ma, quando stai per buttarti, arriva qualcuno che si è svegliato male, e trova che il tempo sia pessimo, e ti racconta le sue disgrazie. Quando è il momento, passa sempre chi ti spiega che stai sbagliando. Allora... Oggi non guarderò dove sono, misurando a millimetri il mio stato. Sì, come naviganti noi siamo ridicoli, e i marinai ci ignorano sapendo che non conosciamo nulla del mare. Io non somiglio a un capitano. Eppure, per una coincidenza singolare, lo sono."

Sulla barca non viaggiavano indovini disposti a predire il futuro, e il volo dei gabbiani non si prestava a un'analisi definitiva. Andrea stava affrontando un grave pericolo. Voleva apparire, come uno scoglio nell'acqua, una roccia imprevista; voleva essere segnato sulle carte nautiche, in modo che qualsiasi vela dovesse tener conto della sua presenza e le onde piegassero il loro moto intorno alle sue coste. Voleva essere avvistato, scoperto, e intanto avvistare e scoprire. Ma temeva anche di rimanere incatenato allo scoglio, paralizzato. La troupe non gli badava più, mentre il cielo si riempiva di nuvole.

"Troverò i soldi, giuro che li troverò. Loro non si fidano, ma io ho scritto ogni notte, la settimana scorsa. La sceneggiatura è pronta, gli episodi scorrono."

Non gli importava del caffè bevuto, non gli interessava sembrare gentile.

"È inutile far finta di nulla. La sceneggiatura mi piace, ma certo non mi illudo che il problema sia confezionare una bella storia. No, il problema è convincere, aprire la testa dell'idiota dietro quella scrivania. E, se proprio tutto andrà male, cercherò altri finanziamenti. Per terminare, e vendere il lavoro completo. Con Barbara, potrei ottenere qualche risultato."

Si accorse della rabbia che lo stava dominando. "Dove nasce questo risentimento? Mio padre... Rimprovero i genitori per non avermi mai dato nulla. E se li scuso perché erano poveri, sicuramente non li perdono. Non hanno mai tentato di migliorare, sono diventati vecchi così, senza progressi. Loro, che mi hanno sempre parlato di dignità e di giustizia, proprio loro hanno mancato di decoro nei miei riguardi. Non era decorosa quella casa spoglia. Ma non posso essere condizionato dai ricordi. La famiglia non esiste più, sono autosufficiente."

Fortunato si avvicinò, salendo dal ponte. "C'è un guaio. I pescatori dicono che verrà un temporale e ti chiedono se hai intenzione di continuare."

Stupito, Andrea rispose "Ti spaventi per un temporale? Andiamo avanti."

"Sarà un temporale grosso."

...

Andrea

Fortunato

Lettura consueta

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