Quaderno 1.

      autori & scrittura

Direzione

Alberto Cappi, Gilberto Cavicchioli, Giovanni Pasetti, Gianna Pinotti

Direttore

Giovanni Pasetti

Redazione Italiana

Lino Angiuli, Pino Corbo, Gio Ferri, Milli Graffi,

Vincenzo Guarracino, Stefano Lanuzza, Leonardo Mancino,

Cesare Milanese, Marco Munaro, Carlo Alberto Sitta

Redazione Francese

François Bruzzo

Redazione Spagnola

Federico Schmied

Redazione Statunitense

Paolo Valesio

Redazione Regioni e Dialetti

Francesco Piga

Edizione e Redazione

Giovanni Pasetti


``È inutile chiedere alla vita / ciò che la vita già conosce''.

Il volume annuale della serie Quaderno si apre citando due versi di Piero Bigongiari, che proprio oggi ci ricordano la fragilità dell'essere persona di fronte agli accadimenti di quel che abitualmente chiamiamo mondo. Non v'è dubbio: tutti noi saremmo poeti se dalla nascita conoscessimo gli insulti e gli affanni del tempo, la perdita di chi ci è caro, il dolore di un attimo imperlato di nulla. Ma, per curioso contrappasso, poeta e scrittore è chi sente risuonare già nella giovinezza un nome, un'eco di nomi che pretendono il segno, trovando nella parola un chiodo a cui penzolare - per sempre o per l'istante.

Il verso largo di Piero Bigongiari non ha mai rinunciato alla vita; per questo la sua poesia sembrava spesso invisibile, tanto era dipinta sul muro trasparente dell'apparenza, riscattando tuttavia ogni inganno grazie al respiro profondo e buono di un dire infinito.

Presentando al pubblico questa raccolta di voci e di autori, speriamo venga intesa la ricchezza di una cronaca contemporanea troppo facilmente dimenticata. Poiché, nella diversità e nella dissimiglianza, ogni invitato alla nostra piccola riunione letteraria porta con sé un frammento iridescente, talvolta specchio, tal altra vetro colorato, o ancora pertugio da cui si intravede la possibilità di una prospettiva, nell'universo impossibile. Le pagine che seguono non vogliono infatti negarsi ad alcuna ricerca, che si traduca nel testo o nell'immagine. Quanto poi di troppo attuale vi è, crediamo avrà modo nel corso degli anni di stemperarsi, liquefacendosi nel più vasto fiume dell'epoca.

Infine, se Quaderno ha un'ambizione, essa è definibile nei termini di una naturale disposizione all'ascolto, al pari di certe cavità in cui le frasi risuonano con maggior chiarezza, grazie al gioco acustico delle pareti. Nel ritmo della chiusura e dell'apertura, dunque, si pone la nostra cura, accogliente fatica di ogni giorno.


Adriano Amati

Dialoghi del namoro

ciò che lo spirito

chioccia al nuovo giorno

e trova

dolce quiete dei sensi

tra la paglia

di cova

Cos'è l'amore? Il due

le mani che t'indagano

e su di me

le tue.

Cos'è l'amore? Amando

a ben piccole foglie

l'autunno dato

e dando.

Cos'è l'amore? Bocca

come un fico spezzato

s'offre a un'altra

bocca

Cos'è l'amore? Ecco:

il tenero scambio

della cena tra becco

e becco.

Cos'è l'amore? Pioggia

fredda e dritta

frusta e sgocciola

la roggia.

Cos'è l'amore? Sabbia

fine di clessidra

si volge e capovolge

in gabbia.

Cos'è l'amore? Un'ala

tende gonfia s'inarca

verge e infine

cala.


Giovanni Angelini

Il Suggeritore

Non lo sentivano più; dopo anni di mestiere la sua voce si era sfilacciata. Forse la polvere della scena che si riversava nella sua buca era l'elemento che metteva in moto tutte le malattie assopite, forse le vertebre cervicali, costrette nello sforzo di mantenere l'equilibrio e volgersi all'attore, avevano ferito le corde vocali.

O la stanchezza, semplicemente.

``Ma non lo si sente più, niente, solo un borbottio afono'', diceva il capo troupe al direttore.

Il direttore stirò i bordi della giacca, fissò la brace della sigaretta e rispose ``E allora?''

Non udì il resto, le risposte non lo riguardavano. Fumava.

Espirava il fumo accuratamente e subito si accaniva nel tirare una lunga boccata; il tragitto fra la gola e i polmoni sembrava lunghissimo e il fumo riappariva di sorpresa sulle labbra, espirando ne studiava la traiettoria...

Fu interrotto dal rumore della sedia che il capo della compagnia spostava con maleducazione per restare in piedi; recitava, era entrato nel ruolo, li conosceva bene lui, questi tipi costretti a ricorrere al mestiere per dimostrare sentimenti violenti.

``Arrivederci'' disse, congedandolo con un segno della mano e ritrovando con l'altra un biglietto di treno fra le pagine di un libro.

Era un biglietto recente, rammentava perfettamente quel viaggio. Lo lasciò lì, alla metà del terzo capitolo, sapendo che si costruiva coscientemente i ricordi per gli anni futuri; poi uscì, pensando alle cosce piene della cassiera, la sua nuova fiamma (platonica).

Aveva perduto un altro contratto, uno di più. Accettava ormai solo qualche compagnia, alla ricerca disperata di un qualsiasi ingaggio che facesse finta di sentire bene il suggeritore. Suo fratello.

Certamente, a quell'ora era in casa a ripetere davanti allo specchio e ad ``alta voce'' tutti i personaggi maschili, sperando in un'improvvisa malattia di un attore, una caduta, una tonsillite, una depressione. Insomma, credeva al buon Dio evitando di chiamarlo con il suo nome.

Così dopo ``qualche annetto di assenza'' sarebbe tornato in scena. Lo vedeva, come tante volte, riflesso nello specchio incastrato nel vecchio


armadio macchiato di umidità: si espandeva in Otello, si faceva pacchiano e curvo (ancora di più) in Pantalone, si conteneva in certi personaggi di Cecov. Lo rivedeva che trasformava la mano in preghiera, il magro petto in corazza guerriera o le sue gambe che si arcuavano come quelle di un cavaliere. E sempre quel borbottio infame, quel risucchio forzato delle corde vocali, quel raschiare le ultime possibilità della glottide amputata di tutte le vibrazioni.

``Ritornerà'' diceva ``ritornerà e io devo essere pronto''. L'araba fenice, la chimera...

Affrettò il passo; sapeva che soltanto la sua presenza gli avrebbe permesso il silenzio, soltanto in sua compagnia avrebbe taciuto lasciando la stanchezza e la gola perdersi in un vuoto di pensieri riposanti; e in questo silenzio, a poco a poco, le voci dei personaggi si sarebbero affievolite lasciandogli il sapore delle emozioni che gustava insieme al bicchiere di grappa, solo piacere che si concedeva ancora.

Deviò in un vicolo del centro dove lo smeriglio degli odori avrebbe cancellato il puzzo della nicotina di cui era impregnato. Quei vicoli li considerava un po' come il suo sanatorio occasionale, uno dei pochi luoghi dove riacquistare le sfumature dell'odorato, bruciato dalla decina di sigari e dal pacchetto di sigarette quotidiano.

Come i ciechi che affinano il tatto, così la perdita della voce aveva provocato in suo fratello un'accresciuta qualità mimica; sempre aveva posseduto quella marcata capacità del gesto, ma adesso si era amplificata in modo straordinario.

Era un lavoro di merletwo fine che compiva ogni giorno davanti allo specchio, esplorandosi incessantemente. Il ripetere monotono era diventato una specie di avventura sottintesa, il logorio della voce si distillava nell'ombra dei tendini e nella sempre più perfetta elasticità dei muscoli.

Sorprendente era il fatto che sudasse pochissimo, come per un'avarizia dei pori troppo occupati, attenti a una disciplina quasi orientale.

``Vuoi camminare sulla tua ombra?'' gli diceva sfottendolo.

``Forse'' rispondeva lui con un sorriso sornione e lontano.

Ma non era un problema di acrobazie, lo si vedeva bene; era una ricerca di corrispondenze immediate, di equazioni del corpo in cui l'incognita era risolta dalla dinamica stessa degli errori.

Gamme muscolari ripetute e subito dimenticate: l'esperienza si cancellava immediatamente una volta riuscita, per depositarsi chissà dove. Il lavoro fisico era dunque vergine ogni volta, a causa di questa abitudine mentale difettosa; la sua ginnastica era allora di obbedirsi sospettando, e


conservare nel sospetto una possibilità nuova e amara.

Tutto era cominciato dal Sogno di una notte d'estate. Da sempre desiderava mettere in scena quella pièce, per anni l'aveva preparata e limata; finalmente l'aveva realizzata.

Il risultato era stato disastroso; poco dopo era iniziata quella malattia sconosciuta della voce che ``quei cornuti di dottori'' si erano dichiarati impotenti a curare.

Non comprendevano. Tutto era perfetto e nonostante ciò quel raglio infame era andato peggiorando. Si confinò, allora, ``momentaneamente'' nella buca; la sua voce era ancora abbastanza forte e nessuno era più pronto di lui nel porgere la battuta con le sfumature richieste; suggeriva con pathos, come gli disse un attore.

``Mi fa bene stare un po' dall'altra parte: il suggeritore è il negativo perfetto dell'attore'', aveva detto a suo fratello, invisibile quanto l'altro si manifesta, le spalle al pubblico, la voce in sordina, l'immobilità. ``Infine, per me sarà un'occasione per riflettere, poi preparerò ancora Il Sogno''.

Ma via via che il tempo e la voce se ne andavano il peso di quelle rinunce lo impauriva.

Mai aveva notato prima quanto la buca del suggeritore, la sua buca, fosse vicina alla prima fila degli spettatori. Lui era l'unico abitante di quella ``no man's land'' che lo risucchiava verso la folla, il pubblico.

Per lui la solitudine della buca era il punto di equilibrio precario fra due piani inclinati e opposti, in cui la prospettiva della scena era il baricentro.

Durante gli spettacoli, là sotto nella penombra, da solo, non suggeriva ma si parlava. Prendeva a prestito la nostalgia che svelava nei personaggi. Gli attori facevano finta di sentirlo (era il sottinteso del contratto) offrendogli un alibi di utilità di fronte a suo fratello direttore, come lo chiamava discutendo con gli inservienti.

Ma in quel buco nero la castità obbligata dei movimenti gli dava la possibilità di misurare i suoi progressi mimici, lo spazio ristretto indicava l'essenziale, impediva la disattenzione sequestrandolo alla luce.

Capo orchestra invisibile e sobrio che soltanto al movimento delle gambe davanti a lui indovinava la giustezza e l'efficacia, solo al ritmo dei tacchi sulle tavole della scena scopriva l'errore o l'impaccio degli attori...

I passeri a centinaia si adunavano sugli alberi, l'odore dello sterco sul selciato faceva pensare a periferie umide e grasse, il loro pigolio stordiva


insieme al fracasso degli autobus. Qualche quarantenne in ritardo camminava in quella scena ormai vuota. Lui conosceva bene gli sguardi attenti, inscritti nella indifferenza studiata, la mobilità degli occhi che tradiva una pigrizia disponibile e sterile. Attendevano la pensione facendo progetti inutili; il tempo era per loro una lunga quarantena.

La sera confondeva le forme, le mischiava in un amalgama di figure e materie diverse che si appiattivano nella stessa confusione; lavate continuamente dalla pioggia, le facciate dei palazzi apparivano sfuocate dall'umidità testarda che da ottobre a marzo avvelenava i viali. Riparati nei bar, seduti a tavoli di falso marmo, vedeva improbabili milionari che riempivano le schedine del totocalcio sotto lo sguardo compassionevole del cameriere.

Ormai era tardi, suo fratello aveva certamente iniziato la lettura rituale dei manuali di chimica, una fisima da intellettuale che coltivava come un eccesso di bohème... Ma che piacere osservare il suo modo di leggere: incontro squisito fra la modernità dell'argomento e un ritmo di lettura ecclesiastico, ricco di maiuscole immaginarie.

Ritraeva un poco la testa a ogni pagina, come un presbite che si allontana dall'oggetto per metterlo a fuoco, quasi ad evitare un archetto di violino immaginario. Era semplicemente per apprezzare l'insieme, le cesure; leggeva come un dandy si veste. Così lo immaginava camminando, così lo avrebbe trovato a casa in una uguaglianza perfetta fra immaginazione e realtà, un'identità speculare che ormai non lo agghiacciava più.

Sfregio che ormai subiva per noia definitiva.


Lino Angiuli

da Catechismo

Occhio all'occhio allora / occhio all'orecchio

ancora / se di fronte allo specchio / entrambi s'accendono e

si sorprendono / poi ci prendono nel gioco delle mille

ghinee / che a volte porta soltanto / nel solito porto / e non

al largo dove la testa non ha piede / e dove il miracolo del

nautilus / si diverte sottopelle / indipendentemente dalla

bancarotta del sogno / dagli editti delle nubi / nubi tedesche

ed israeliane / a stelle e a strisce o venezuelane / nubi tonde

nubi quadrate / ma che nubi sono queste! / ma quante

madonne di nubi ci sono? / tra la terra dei cingalesi e il

cielo di jahvé / tra babele e nazareth / tra il giurassico e il

duemila / tra il vangelo e l'odissea / va' pensiero sull'ali

indorate e fritte / è difficile che il giorno la passi liscia /

senza l'indulgenza plenaria / di una notte abbondante e

smacchiatrice / quando non c'è nessun altro che tenga / se

tu stesso non ci sei / a fare clic nel momento in cui

l'inganno / malacarne / va preso per le corna / proprio nel

culo di sacco / amico mio / che devi ancora nascere a valle /

almeno tu non farmi il pacco / quando verrai chiamato ad

esclamare / per nome e cognome e tutto quanto / nel nome

del padre del figlio e / perché no / dello spirito santo.


Anna Maria Barbieri

*

Mi sono affacciata

ad una finestra del cielo

troppo tardi

troppo presto

non so

ma il soffio

che l'attraversa

gonfia

le tende bianche di tulle

ed anima la pelle

di brividi nuovi

il viale

nero

come le vesti della Morte

avvolta

nell'ombra di un angolo

ad agonizzare

non mi spaventa

asciutta

diserta la piazza

a pezzi

in un fruscio di cenci

*

Tranquilla domenica

in famiglia

dall'acre sapore

di compiti

il cuore

a prugna secca

si concentra

sul suo seme amaro

tornare bambina

e scuotere il petto

come l'uovo di pasqua

per assicurarsi

che dentro c'è qualcosa

i miei punti

di intersezione

non coincidono

necessariamente

con un vertice

rompo le righe

righe di prima

righe di terza

righe di quinta

uno sciangai

interminabile

perché esula dalle regole

come linee di necessità

da linee di vita

un tema sempre riproposto

sempre respinto

sono

il nocciolo amaro

della questione riposta.


Riccardo Belloni

Destinazione ignota

A pochi anni-luce dalla nebulosa di Orione, dentro una foresta di verdi mulinelli di polvere, stanno combattendo due grossi vermi. Uno di essi, di colore giallastro, col corno suddiviso in anelli, è provvisto di raffinati organi di senso e muscoli poderosi. L'altro, nero, è un po' più piccolo e presenta ciuffi di peli sulla pelle liscia; gli organi di senso sono piuttosto rudimentali. Oltre a questo, risulta meno agile, a causa di una sorta di armatura interna fatta di segmenti e piastre ossee. La bocca, contrariamente a quella del suo antagonista, è fornita di piccoli, innocui denti. Per la difesa, è equipaggiato di due coppie di appendici cornee, puntute e taglienti come coltelli, che servono anche alla locomozione, talché il suo incedere risulta abbastanza goffo.

Il combattimento si svolge nel seguente modo: il verme giallo, giocando d'astuzia (in effetti, è molto più intelligente del suo avversario), cerca di far cadere l'altro in una delle strette, numerose e profonde fosse che conferiscono al pianeta l'aspetto di una palla d'argilla screpolata.

Il verme nero, invece, non può fare altro che menare fendenti alla cieca coi suoi quattro stiletti (appaiati alle estremità del corno), e cercare di limitare al minimo gli spostamenti, per non trovarsi all'improvviso sull'orlo di un'insidiosa voragine.

Di norma un combattimento come questo è lungo e senza storia: il verme giallo, infatti, è agile e molto abile ad evitare i fendenti, ma non è altrettanto capace nel far cadere il suo rivale.

Anche in questo caso il combattimento era ormai sul punto di risolversi nel modo più ovvio e i due vermi, esausti, sono in procinto di separarsi quando, all'improvviso, una sciabolata di luce taglia ripetutamente l'aria, e gli anelli del verme giallo rotolano lontani l'uno dall'altro, sparendo in parte nella vicina fossa. Il verme nero resta dapprima come impietrito, poi dilata l'imbuto della bocca ed emette uno strano sibilo, simile a un grido soffocato, che nella particolare atmosfera del pianeta si stampa in onde sinuose che si allargano come i bracci di una galassia a spirale.

Due piccole sfere di metallo, di pochi centimetri di diametro, si avvicinano nuotando su invisibili onde d'aria, che in parte investono il verme trascinandolo fino all'interno di un vicino aeromobile, il quale


subito si allontana, svanendo tra le stelle che si accendono nel tramonto violaceo. Dal velivolo viene noi spedito il seguente messaggio: "Alla base AXKY - 3, segnaliamo la cattura di un altro esemplare della specie discesa dal nostro Creatore, da proteggere in ossequio alla legge robotica: ONORA L'UOMO E PERPETUA LA SUA GLORIA NEL TEMPO E NELLO SPAZIO''.

Il robot-scrittore n°X8, ultima generazione di automi autoriproducentisi, in base allo stile e agli ordini che l'Uomo impartì ai suoi antenati, ha narrato questo episodio realmente accaduto, e lo trasmette nello spazio esterno verso altre forme di vita intelligente, che non abbiamo ancora incontrato.

Pianeta AXKY, nell'anno terrestre 100.235.998 dopo Cristo.


Ettore Bonessio di Terzet

da La bagnante dorata

*

Silenzio fragoroso

Poesia

Sopraffatta dai tempi

Permane

Fibrillante insidia.

*

Appillata farfalla

Alla colonna vibra indenne

Disposta alla bellezza

Resiste al vento del mare

Incredulo della rotta ala.

*

E intanto continuano

Le apparizioni

Navi sopra i tetti

Geometriche gialle e nere

Confuse alle ortensie e

Ai rossi gerani.

*

Passare dai verdi cortei

Dorate offerte larghe di gesti

Vivi ed immoti da sempre:

Duro il passare all'intreccio

Di colore astratto che onice

E penombra il buio porta

Un poco di auspicio.

Lo splendore del vuoto

Ragione nascosta cresce

Radice di sogno molle

Se fantasma non spande

Irta chiazza languida lingua

Fratta posizione di specchio

Il viso infranto sotto.

Sangue arrovescia arteria

Lenta cammina la freccia

Allarga artiglio veloce

Interno al covo lasciato e

Marcisce e sorge diluvio

Nell'ergersi di fiore composto

Scavato profumo di forma.


Brandolino Brandolini d'Adda

Sumus Fumus

Oggi l'animus gioca

    al tempo sapido insipido che davanti dietro

    lascia quel sumus fumus

    dell'osso datato paleo-levigato

    in un prato ben individuato sul pianeta

a far conta virtuale

    sale di ramo in ramo

    al ricercari rondine fra nodi

    che affiorano salini dai rinzaffi

    di malte e sabbie di quel fiume sempre

    e si lascia giocare

Il filo

Per il viaggio senza sosta

nei frammenti d'oro zecchino

raccomando fruscii ecolalie e le tonalità

dei grandi maestri

il filo d'emofilia

un anno una spanna / un nodo un danno

con afflizione ricongiunge i lembi

del recinto incerto in cerchio certo

e sei arrivato


Alberto Cappi

Soglie

A Yasmin Brandolini

ci consegnamo a te

in nostra spoglia

sembianza

come a una sorella

nella speranza

sia lieve doglia

il capogiro

alle tue porte

il mio futuro

signora morte

A Italo Lanfredini

narrami in te

nel ratto della soglia

nella parola

che è tratta a Dio

io ero io

un taglio sul leggio

A Luigi Ontani

in te si estingue

il dono

e la sua sete

nel dorso duro

della creta

in te concreta aria

terra fuoco

l'acqua e la sua rete

il sogno e il loto

A Giovanni Sias

dove vanno le cose del mondo

che vanno che vanno che vanno?

dove cade la notte del mondo

che cade che cade che cade?

le cose

    la notte

il vano dell'ade


Seconda parte

Ritorno all'indice di Quaderno