Altre attribuzioni


L'attività del Mantegna come scultore non è confortata da alcuna prova irrefutabile. Nonostante le meritorie proposte critiche avanzate dal Kristeller e dal Paccagnini, nessuna opera quattrocentesca in bronzo, marmo o terracotta può venir assegnata con certezza alla mano del Maestro, nemmeno il Busto collocato nella sua cappella funebre, in Sant'Andrea. Questa situazione è abbastanza paradossale, poiché si riferisce ad un autore che venne spesso accusato di trattare i dipinti come vere e proprie sculture.
Scrive infatti il Vasari: E si conosce di questa openione essersi molto compiaciuto nell'opere sue, nelle quali si vede in vero la maniera un pochetto tagliente e che tira talvolta più alla pietra che alla carne viva...
D'altra parte, Giovan Battista Spagnoli lo paragonò apertamente ai più insigni scultori della Classicità, ovvero Fidia e Policleto: Le qualità di Policleto perdono il loro pregio, e non reggono al confronto di Andrea. Tu il vanto dell'Italia, tu la gloria dell'età nostra...
Così, nel tentativo di colmare almeno in parte un pesante vuoto, sono stati attribuiti al Mantegna un monumento a Virgilio oggi perduto e un busto in terracotta raffigurante il massimo poeta, oltre a cinque grandi statue provenienti dalla facciata di una casa mantovana e custodite oggi in Palazzo Ducale: la Vergine, l'Angelo e tre Evangelisti.
A questo proposito, il gruppo è stato prima associato al nome di Donatello (che tuttavia non lavorò mai a Mantova) e poi, come logica conseguenza, al periodo giovanile del Mantegna, influenzato appunto dal medesimo Donatello (vedi gli affreschi della Cappella Ovetari a Padova).





Così si esprime Maria Rosa Palvarini:
Le cinque sculture, già collocate nelle nicchie in fregio alla casa fancelliana di via Frattini 5 a Mantova, appartenuta alla nobile famiglia dei Valenti Gonzaga dal 1690, vennero restaurate ed incluse nella raccolta di terrecotte di Palazzo Ducale nel 1958, quando l’allora proprietario, lo scultore Menozzi, ne segnalò lo stato di degrado al Soprintendente prof. G. Paccagnini, il quale provvide al recupero ed allo studio di esse...
Dal Venturi il gruppo venne attribuito ad ignoto plasticatore veronese, mentre il Paccagnini sostenne la tesi dell’intervento di Andrea Mantegna qui in qualità di scultore, fondandosi sul fatto che l’artista aveva preparato modelli in terracotta da fondere in bronzo per il progetto di una grandiosa arca di S. Anselmo che il marchese Ludovico Gonzaga aveva inizialmente commesso a Donatello intorno al 1450...
Secondo il Paccagnini, l’Evangelista e il San Pietro, dall’aspro modellato nelle chiome e nel panneggio, apparterrebbero allo stile degli affreschi del Mantegna della Cappella Ovetari in Padova e perciò di là inviate a Mantova dall’artista negli anni intorno al 1458-59, quando il marchese desiderava veder compiuto il monumento in occasione del Concilio indetto a Mantova nel 1459 da papa Pio II Piccolomini. Le altre tre statue, la Madonna, l’Angelo ed il San Paolo sarebbero invece opera più tarda, per maggiore complessità e ricchezza formale nel modo di affrontare il tema e di trattare la materia, e risentirebbero di un soggiorno del Mantegna a Firenze intorno al 1466, quando il progetto dell’arca fu momentaneamente ripreso...
Nel 1482 il Mantegna propose di eseguire, con un progetto unitario, l’arca di S. Anselmo insieme al monumento funerario della marchesa Barbara di Brandeburgo, defunta nel novembre 1481, la quale venne appunto sepolta nella cappella dedicata al santo posta nel Duomo mantovano...
Le statue superstiti sarebbero dunque state inglobate nelle nicchie della casa di via Frattini, che porta -guarda caso- chiare connotazioni della presenza del Fancelli: distribuzione armonica delle aperture, rilievi graffiti nell’incorniciatura delle finestre e dei marcapiani.



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