Il Duca di Atene

Ottavo

La mano aveva cercato il contatto mentre il corpo restava fermo, in posa, aspettando una risposta. Andrea vide occhi color acquamarina ravvivati da riflessi sempre cangianti, e vide anche che Diana lo guardava in modo quasi sprezzante. Pensò "Non diamole troppa importanza." Ma i suoi capelli erano bellissimi.

Diana si chiedeva intanto il nome di quell'uomo, e per quale motivo era a fianco di Cesare. Lontano, tutti e due immaginavano cataclismi inverosimili, aerei a precipizio, navi che si urtano nei porti, palazzi che esplodono, crollano, diventano polvere.

"Questa bellezza sarà capace di parlare? Cesare deve presentarmi, io devo presentarmi. Ma non ne ho la forza."

La pausa proseguiva e preludeva solo ad altre pause. Parlare sembrava una pretesa assurda, benché fosse necessario sbloccare la posizione di stallo e spezzare il diaframma che inceppava la conversazione.

Cesare si alzò per abbracciare la sorella. Andrea notò che quell'affetto suonava strano.

"Non vi conoscete, vero? Lei è Diana."

"Un bel nome. Io sono Andrea."

"Ciao. Sapete, sto aspettando il defilé. Dovrebbe cominciare presto. Cesare, per favore, ricordati di telefonare. Ci incontriamo sempre per caso."

"Già, per caso."

"Chiamami, davvero. E voi, cosa fate qui? Vi piacciono le sfilate?"

Rispose Andrea: "No. Solo le modelle."

Risero. L'unico a non mostrare alcun disagio era Cesare, lui che pensava d'essere sempre fuori posto. Andrea stava cercando le parole che potessero richiamare l'attenzione di Diana, ma le prime idee si smorzarono contro la collezione di ninnoli che le decorava il volto. Lei si accarezzava lentamente i capelli con le dita inanellate.

"Porta due diamanti montati su oro bianco. Saranno veri? Sì, certamente. Eppure sento qualcosa di falso, come se le mancasse un sostegno."

Diana rimaneva, continuando a ripetere, "Va bene, vado."

Cesare voleva approfittare dell'occasione per rimandare il momento della grande scelta. La presenza della sorella lo rendeva più forte; lei testimoniava che nella sua vita c'erano altre cose, non solo amicizie deboli e fantasie banali. Poteva accantonare per un istante la consueta angoscia.

Decise. "Veniamo con te alla sfilata, mi interessa." Parlava esibendo una certa vanità, un certo orgoglio.

Diana sorrise. "Ho paura di annoiarvi. No, è meglio se rimanete soli. Io... Io ho un appuntamento." Era l'altro a doverle dire che gli sarebbe piaciuto accompagnarla, dovunque.

Andrea intuì il gioco e, prima che la situazione divenisse imbarazzante, utilizzò lo spiraglio appena intravisto. Prendendo sottobraccio Cesare disse, in tono sommesso, quasi in maschera, "Diana, ti seguiamo." Ma si chiedeva intanto se valeva davvero la pena di ricorrere ai soliti trucchi, corteggiando, prigioniero di regole che non erano veramente regole.

Diana camminò con passo veloce. La gonna le si alzava sopra il ginocchio, sospinta dalla fretta sicura di chi sa di stare davanti, e le calze, tra lo stivale e l'orlo di argento luminoso, si tendevano un poco per arricciarsi quando il piede tornava ad essere soltanto d'appoggio. La gonna era stretta, aderente, elastica. La sfilata non era ancora iniziata, come dimostravano le frasi continuamente interrotte e l'atmosfera elettrica.

Diana salutò una donna e si mise a parlare con lei, disinteressandosi dei suoi provvisori compagni. Andrea scelse un bicchiere lasciato in bella mostra sopra un vassoio, assaggiando con mossa abbastanza disperata il cognac dal colore di miele. Ma non riuscì a estinguere la sete. Rifletteva. "È inevitabile che finisca così, tra le impressioni perdute. Meglio restare in silenzio e ricordare altre cose."

Taceva, senza che il liquore lo aiutasse molto. Ogni sorso di cognac era semplicemente un sapore dolce sulla lingua. L'estasi e l'ebbrezza si rivelavano come al solito esperienze irraggiungibili. Cesare invece gli stava vicino, felice. "Mi sembra che Diana ci abbia dimenticato."

"Non credevo che tu avessi una sorella così."

"È vero, non mi somiglia affatto."

Tutte idiozie. Cesare non era tanto stupido, erano i suoi discorsi ad esserlo, le sue domande, le sue risposte, le paure.

"Ascolta, tagliamo corto. Tra poco firmerò il contratto. Poi ti telefono, e fissiamo insieme le date e il compenso."

"Se vuoi. Speriamo."

L'aveva convinto. Andrea alzò il bicchiere in un brindisi immaginario. In quel momento Diana si voltò e, scambiando il tutto per un gesto d'intesa a lei rivolto, socchiuse gli occhi in modo inatteso, con estrema fragilità, intensa e stupenda.

Andrea si sentì cadere.

...

Andrea

Diana Almonti

Cesare Almonti

Lettura consueta

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