Il Duca di Atene

Settimo

"Mi scusi, c'è Cesare Almonti?"

"Sì. È in camera."

"Potrebbe cortesemente dirgli che Andrea lo sta aspettando?"

"Certo."

Vivere in un residence era un'abitudine strana e costosa. Vivere in un ambiente lussuoso e impersonale, con molti camerieri al proprio servizio, senza nulla da toccare, da stringere. Dove si possono ricevere gli amici, se non nella folla?

"Ecco il signor Almonti."

"Andrea. Non ti aspettavo tanto presto."

Era elegante, nonostante l'imperfezione del colletto della camicia, e il vago aspetto di chi non sa davvero unire una giacca e una cravatta. Andrea gli strinse la mano e Cesare atteggiò la bocca a disegnare un sorriso inutile.

"Vogliamo sederci?"

Sembrava difficile iniziare così un discorso. Il tono del ragazzo, pieno di rispetto, nascondeva il timore per le proposte che sarebbero venute, timore che non era nemmeno molto interessante. Andrea allargò le braccia, mostrando con un gesto a lui abituale il desiderio sincero di convincere chi lo ascoltava. Attese un attimo, con aria incerta, poi disse "Intendo parlarti di un mio progetto."

Parlò per quasi mezz'ora, senza fermarsi. Intanto, non si accorgeva che poco distante, in un'altra parte del residence, venivano allestite le scene di una sfilata di moda. Ragazze e signore di mezz'età si radunavano nell'atrio abbracciando i vecchi amici, salutandoli con voci dalle tonalità acute. Andrea era abituato a non lasciarsi distrarre, e dunque non faceva caso agli altri, dedicandosi esclusivamente a chi gli sedeva di fronte, quasi temesse di vederlo sfuggire verso orizzonti perduti.

Al contrario, Cesare spostava sempre lo sguardo, innervosito e abbagliato dalle parole che udiva e dalla gente che scorreva nella prospettiva del suo schermo visivo. In mezzo allo schermo stava Andrea, gigantesco. Gli diceva cose che potevano solo lusingarlo, lo invitava a far parte di un'impresa affascinante, usando frasi che suonavano sincere. Eppure lui aveva paura. Non voleva rispondere, e divagava.

"Avrai bisogno di un periodo di preparazione. Un assistente non ti servirà subito."

Andrea si stava spazientendo. "Cesare, io ti offro quella che si chiama una grande occasione. È un'opportunità che può modificare completamente il tuo atteggiamento nei confronti del lavoro. Finalmente farai qualcosa di concreto, di creativo. Trasformerai i tuoi rapporti con le persone."

Non lo persuadeva, ma continuava a insistere. "D'accordo, sei ricco, puoi passare il tempo a mangiare e a dormire. Ma io so che hai ambizioni inespresse, che sei insoddisfatto. Cosa perdi se accetti? Ti divertirai comunque."

Cesare non rispondeva. Andrea pensò con rabbia che quel disgraziato gli costava davvero fatica, perché con lui si affondava nel vuoto. Era costretto ancora a corteggiare dubbi antichi, che credeva di aver abbandonato per sempre. Erano il vuoto, le ore da ammazzare, le domande del tipo "Vale la pena diventare adulti?"

Idee passate, slavate, estinte. Ora le sentiva riproporre così, con svogliatezza, per sottintesi.

"No, non penso di avere le qualità adatte."

"Ti ripeto che è un lavoro di coordinamento, di raccordo, di spola. Dovrai riassumere, raccogliere. Io non posso girare per tutta Italia e contemporaneamente essere là dove si presenteranno i guai".

"Guai?"

"Sì, guai, difficoltà, problemi. Niente di pericoloso, ti assicuro. Solo cose fastidiose."

Sospettava ormai di parlare con un idiota. Divenne ancora più aggressivo, benché non gli convenisse affatto. "Dove guardi, adesso?"

"Sai, c'è una sfilata di moda."

"Una sfilata? Ti interessano le sfilate?"

"No, ma è divertente. Il movimento, i colori..."

Andrea si voltò per non arrossire di furore. Però era vero, il movimento, i colori, le modelle... Ne stavano passando due, stupende. Dovevano essere modelle, perché per essere donne erano troppo alte, magre e slanciate, in modo così innaturale. Non diafane, non pallide, plastificate, con finti occhi in fibra di vetro, da tigre imbalsamata.

Andrea tentò di cambiare argomento. "Ti piacciono?"

"Cosa c'entra?"

"Come, cosa c'entra?"

Intuì qual era il particolare che in Cesare più gli ispirava diffidenza. Era asessuato, né omosessuale, né eterosessuale. In pratica, questo significava che lui non esisteva. Non dava appigli, appoggio, era un oggetto indifferente, inutilmente mobile.

"Sì, mi piace vedere come si muovono. Mi piace anche tutto il resto."

Era sconfortante, ma non si poteva evitare un tentativo estremo. "Cesare, vuoi darmi una risposta?"

Cesare chinò la testa, era davvero imbarazzato. Quando la rialzò, tuttavia, fu preso da un entusiasmo improvviso. Disse, mentre gli occhi gli brillavano, "È arrivata mia sorella. Sta venendo qui."

"Tua sorella? Dove?"

"Qui."

...

Andrea

Cesare Almonti

Lettura consueta

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