Il Duca di Atene

Ventiduesimo

Era l'otto aprile, ed Enrico Salvati dormiva ancora nella sua camera. Enrico Salvati era un uomo di quarant'anni, alto, con pochi capelli. Si riposava accucciato sul fianco, quasi proteggendo il volto con le mani, negando alla camera vuota il piacere di scoprire i suoi pensieri nel sonno.

Dormiva come un bambino, ma tutto di lui si diceva eccetto che fosse infantile. Era un uomo importante, un uomo ricco, proprietario di molti appartamenti sfitti e di un palazzo intero in pieno centro. Veniva definito un faccendiere, con il tocco di mistero che questo comporta.

Aveva dedicato il suo ingegno al profitto, trasformando in modo curioso il palazzo dove ora abitava. Aveva costruito un albergo, un albergo speciale, là dove prima c'era solo un condominio abitato da famiglie borghesi. Affittava stanze per brevi periodi a studentesse e turiste, quasi tutte straniere. Solo donne. Nell'albergo vivevano tranquille e protette, confortate dal basso costo del rifugio; nel palazzo c'era una mensa, una biblioteca, spazi di riunione accoglienti, sale per conferenze e pubbliche letture. Tutto era nato dall'alleanza di Salvati con alcuni enti ecclesiastici, pronti a consigliare e a indirizzare nel loro soggiorno molte giovani sprovvedute che, arrivate a Roma, trovavano nell'albergo un luogo rispettoso dei sentimenti.

Si innamoravano presto di quella vita: avevano modo di confrontare con calma le proprie esperienze, fuggendo lo squallore delle pensioni gestite dai religiosi. Si abituavano anche a seguire regole difficili da comprendere, imparando che quella casa somigliava più a un convitto che a un albergo, perché non era consentito accogliere amanti. Le costrizioni diventavano il simbolo di una scelta profonda.

Salvati aveva riservato per sé l'appartamento dell'ultimo piano. Qui si svegliò, l'otto aprile, esaminando con l'abituale rapidità gli impegni della giornata. Il suo lavoro consisteva nel risolvere i guai dell'amministrazione e della manutenzione del palazzo. Era sua regola non interferire mai negli affari privati delle ospiti; si occupava di un problema personale solo quando era la ragazza a chiederlo, e lo affrontava senza cercare spiegazioni, senza ergersi a giudice dei casi altrui.

Non rispondeva agli attacchi di chi insinuava che la sua ricchezza provenisse da fonti torbide. L'essenziale era mantenersi distante, quasi invisibile, evitando di disturbare le donne che dormivano nella sua casa. Gli bastava che tutte rispettassero il regolamento senza far nascere complicazioni inutili. Il rischio più grave era che una di loro si innamorasse di lui. Si tormentava anzi molto spesso, usando come arma questo timore, difficilmente comprensibile.

Naturalmente, l'amore era un pericolo reale. Salvati sapeva che la sua figura era in grado di evocare alcuni stereotipi molto suggestivi per l'immaginazione delle studentesse. Quando venivano a parlargli per la prima volta, il loro sguardo cadeva sempre sull'anulare della sua mano, dove non c'era nessun anello. Lui confidava comunque nella timidezza, nei gesti sbrigativi, nel pudore, e sembrava che tutto questo funzionasse.

Ma Enrico Salvati era un uomo di grande intelligenza, come dimostrava la sua storia. Aveva tessuto pazientemente, contando solo sulle proprie forze, una rete di appoggi influenti. Da una piccola eredità (era bambino quando gli morì il padre), investendo, comprando, rivendendo, aveva accumulato un capitale rilevante. Aveva dovuto persuadere molta gente, scegliere sempre il momento esatto, sfruttare al massimo le doti innate di diplomatico e di consigliere, trattando con gli usurai, con i bottegai, con i preti. Era sopravvissuto alle trappole.

Ma non gli interessava vantarsi di questo né parlarne, perché il passato non lo riguardava. I suoi piaceri erano quelli dei giorni a venire. L'otto aprile sbrigò facilmente le pratiche ordinarie. Amava alzarsi presto per avere del tempo davanti a sé, in anticipo rispetto alla tabella di marcia. Dall'ultimo piano vedeva, alla sua stessa altezza, i tetti della città vecchia. La mattina era davvero molto bella.

La segretaria gli consegnò con puntualità la lista dei problemi del giorno. Dettò qualche appunto commissionando le spese, leggermente insospettito dalla tranquillità evidente delle cose.

"Oggi, lei è a pranzo dalla signora Almonti."

Questo lo sorprese. Chiese, alzando gli occhi dalle carte, "Come mai questo appuntamento?"

"Sembra le voglia proporre un contratto. Ha telefonato."

"Sì, mi ha rintracciato grazie a un mediatore."

"Forse vorrà un appartamento."

"Che se ne fa una miliardaria di un appartamento in periferia? E perché si dovrebbe rivolgere proprio a me?"

"Non so."

"Vedremo, non riesco a immaginare. Comunque, abbiamo finito."

"Certo. Tutto è in ordine."

"Perfetto."

"A domani."

Enrico Salvati uscì da una porta di servizio. Passò la mattina camminando lentamente lungo il fiume. Rifletteva, quasi che la routine quotidiana potesse essere sconvolta da un nuovo evento. Sapeva che c'era sempre qualche dettaglio in grado di sfuggire a ogni controllo.

...

Enrico Salvati

Lettura consueta

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