Il Duca di Atene

Ventesimo

Intanto la troupe aspettava nel bar del paese, lamentandosi e parlando a caso per interrompere il disagio della sosta. Erano in sette, numero perfetto, ma nessuno di loro sembrava felice.

Qualcuno chiese "Siete sicuri che ci pagherà? Sì, lui è un amico e viaggiare è bello, ma non vorrei che si creassero dei malintesi."

Vinci intervenne, deciso a impedire che tutto si sfaldasse subito. "Non sarebbe la prima volta che ti dimezzano lo stipendio. Siamo già fortunati a lavorare. Conosco molta gente che in primavera parte per le vacanze."

Parlò il fonico. "Scusa, Vinci, lasciami dire. Potrei sapere perché sono qui? Per questi provini non avete certo bisogno di me. Saranno gli operatori a pensare alle registrazioni, e non ci sono effetti speciali da preparare."

"Senti, io non sono il capo. Forse Andrea ti spiegherà qualcosa di più. Io non conto nulla, nessuno mi ha ordinato cosa fare, dove andare. Forse ti useranno come trovarobe."

"No. Sono un fonico."

"Io sono il regista, e sto seduto al bar."

Parole pronunciate in un tono così perdente non erano in grado di tranquillizzare il gruppo. Nel mormorio che seguì, una voce tentò di fare il punto.

"Guarda, qui siamo in sette. Io sono l'addetto alle luci, e vorrei che la produzione se ne ricordasse."

Vinci era seccato. "Forse sto partecipando a una riunione sindacale, e non me ne ero accorto. Non capisco quest'ansia. Bevete, mangiate, e Andrea salderà i conti."

Il fonico non sembrava d'accordo. "Non è un bel modo di iniziare. Ho visto Andrea solo due volte in vita mia. Se vogliamo dire la verità, la sua reputazione è incerta."

Fortunato lo fermò. Era il secondo operatore, ultimo figlio di una famiglia di nobili decaduti. "È inutile agitarsi, questo lavoro è misterioso. Siamo obbligati a seguire un progetto che non conosciamo. Penso che verremo pagati proprio per non conoscerlo mai. Così, tutto filerà liscio."

"Il problema non è tanto semplice. A me sembra d'essere disoccupato, e il paese non mi piace. Gente che cammina in piazza, vecchi, bambini. Non c'è nemmeno un cinema, solo osterie dove gli uomini si ubriacano."

"Non rimarremo molto, se dobbiamo visitare dieci città in tre settimane. Goditi il silenzio e la pace."

"Quale pace, la pace dei bicchieri? Secondo me ci stanno spiando."

Il primo operatore, che aveva dato inizio alla protesta, non parlava più. Gli chiesero "Gigi, non dici niente? Ti sei addormentato?"

Sì, quasi dormiva. A suo parere era questa l'unica azione sensata, perché nulla appariva chiaro. La folla lo deprimeva, il brusio delle voci lontane lo ipnotizzava. A stento ricominciò. "Io e Fortunato siamo amici di Andrea da molti anni. Se vogliamo andare d'accordo bisogna lasciarlo libero. Tanto, lui è di parola. Vero, Fortunato?"

"Certo, di parola."

Gigi si era svegliato. "È anche puntuale e serio. Io, che sono più vecchio, mi permetto ogni tanto di dargli un consiglio. Ascolta sempre. Ma certe volte qualche idea strana si impadronisce di lui, ed è impossibile impedirlo. L'unica risposta è lasciarlo andare per la sua strada."

Vinci guardava in aria. "Sì, è persino commovente."

"Chi?"

"Chi? Andrea, è naturale. È commovente o ingenuo, come preferite."

"Da come lo descrivi sembra un pazzo. Eppure mi ha dato l'impressione di una grande correttezza professionale."

"È vero. È un ottimo organizzatore, un lavoratore instancabile. È capace di dormire quattro ore per notte, per finire nei tempi giusti quello che si deve finire."

"Se non resta bloccato a inseguire lo sviluppo di un particolare assurdo."

"Non diamogli addosso. È come noi. Si ingegna, vuole sfondare, cambia ruoli, impegni, mestieri."

Il fonico sembrava offeso. "Ho sempre fatto il fonico. Per me è importante avere una funzione definita e una paga sicura."

"Però hai cominciato portando il caffè all'aiuto regista."

"Cosa vuoi dire?"

"Nulla. Non prendertela."

"Me la prendo sì, se continui. All'inizio ci si arrangia."

Fortunato, stanco dei mezzi litigi, cercò di cambiare discorso. "Potremmo esplorare la città. L'hanno costruita nel Rinascimento, e non è mai cambiata."

"L'arte è strana. Una volta ho girato un documentario. Ho inquadrato una per una le pietre di una chiesa: è necessario catturare la sacralità dell'immagine, mi gridava il produttore. Mi sono arrampicato sui ponteggi per illuminare meglio le statue. Quasi cadevo."

"Forse non dovremmo andarcene."

"Forse arriva Andrea, e scopre che abbiamo saltato l'appuntamento."

"Non arriva, state tranquilli, non arriva."

...

Fortunato

Lettura consueta

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