Il Duca di Atene

Quindicesimo

Cesare guidava verso nord nella piatta pianura padana, per viottoli di campagna a lui sconosciuti. Uscendo dall'autostrada, si era perso. Aveva creduto di trovare una scorciatoia meno affollata seguendo le indicazioni delle vie bianche e gialle segnate sulla carta; ma i paesi che ora attraversava non sembravano corrispondere al cammino previsto.

"Pazienza, inutile che mi arrabbi. Riprenderò la statale più a est e arriverò a Sondrio di notte. Non mi importa sprecare qualche ora."

La statale divenne così il paradigma della meta da raggiungere a ogni costo; e Cesare, inavvertitamente, iniziò a evitarla. Le sue dita scorrevano sugli appunti che Andrea aveva scritto per ricordargli le cose da fare nel primo sopralluogo della seconda puntata. Tre pagine in tutto: vaghe, anche se piene di nomi e di indirizzi. Era il contenuto della puntata ad essere appena accennato; occorreva verificare una serie di località, trovare due ragazze gemelle, contattare una guida che fosse disponibile a portare l'intera troupe in cima a un ghiacciaio, o qualcosa di simile. Mancava la trama, mancava la storia, e nella pianura gli oggetti più alti erano i silos delle corti.

"Penso che mi abbia mandato a Sondrio per nulla; due telefonate, e poteva risolvere tutto da solo. Forse mi sta mettendo alla prova. Il mio lavoro non è questo."

Fermò la macchina sul ciglio della strada, stanco. Il traffico era scarso; decise di attendere il passaggio di un contadino per chiedere notizie della statale. Il tempo grigio e l'oscurità della prima sera ispiravano come al solito malinconia e rimpianto. Da molti anni Cesare non lasciava la sua città, nemmeno per un viaggio di piacere. Non riusciva a staccarsi dalle sue abitazioni provvisorie, sorgenti infinite di guai e pretesti, di sonno e di veglia. Dormire nell'albergo di un piccolo centro di provincia, nel silenzio delle consuete voci, equivaleva ad affrontare apertamente le paure e gli incubi che la consueta frenesia quotidiana spostava e seppelliva. I chilometri che lo separavano dal letto di quella stanza erano dunque i benvenuti; la sosta era una buona sosta.

Sensazioni soffici, spire di vapore pigramente distese a circuire il paesaggio. Un dubbio, lontano. "Non so chi approverà il mio nuovo incarico. Diana non è stata nemmeno ad ascoltare quando le ho detto che dovevo partire; era tesa, preoccupata. Rideva nervosamente. Mi accorgo subito se c'è qualcosa di strano, non è difficile. Ma lei non risponde. Forse crede che suo fratello non sia capace di capirla. Perché lei è una donna, e io no."

Il paesaggio non era più assente. Si contraeva, si lacerava. "Mia madre. Non l'ho salutata prima di partire. Ho fatto male, lei soffre per queste disattenzioni. Ma non c'era tempo, non avevo un minuto libero, tutto da preparare, da organizzare. Le telefonerei questa sera, se non fosse già tardi. Cosa voglio, cerco un'approvazione? Mia madre..."

Si sorprese a commuoversi per una moltitudine di ricordi che non riusciva a definire. Le sue idee erano semplici, il suo modo di esprimerle sembrava elementare; non aveva mai sviluppato un meccanismo di difesa adatto a impedirgli l'ingenuità delle ansie più normali. E non aveva tanta forza da penetrare davvero nei propri sentimenti, tanto da viverli o da vincerli.

"Detesto i problemi che mi fanno stare male. I miei stati d'animo, è meglio dimenticarli. Se non arrivo in tempo a Sondrio telefonerò lungo la strada. Mia madre non è tanto importante, può benissimo restare una settimana senza vedermi. Lei ha il suo carattere, è sicura di sé, ha difeso la famiglia, conservato il patrimonio, creato dal nulla un museo. Quelle sale piene di quadri, l'argenteria..."

Si accorse di pensare come se fosse un altro a pensare per lui. "Non l'ho mai sentita parlare senza motivo. Ordina, amministra, sceglie. E tace: sta per giorni interi in silenzio, cammina lentamente, osserva, nessuno la può avvicinare. Quando ero malato e mi sono rinchiuso nel palazzo, erano mesi che non ritornavo; veniva a chiedermi ogni ora come stavo, come un'infermiera che deve provarti la febbre per riferire al medico la situazione. Ma non c'era nessun medico, e io mi immobilizzavo molto prima del suo arrivo, nella speranza di addormentarmi subito, perché mi lasciasse in pace. Non volevo ascoltare i suoi passi e il suono della porta che si apriva. Ma è inutile ricordare il passato."

Quel viaggio apparentemente senza scopo aveva sbloccato un meccanismo che da molto tempo aspettava l'occasione di sciogliere la sua ruggine. I casi di una famiglia assurdamente comune avevano urtato contro un'altra costellazione. Cesare, l'anello più debole, aveva il dono di avvertire per primo il tremito che faceva presagire un crollo. E seguiva il filo senza immaginare cosa, dalla parte opposta, lo stava tirando.

Un pensiero più intenso, insopportabile, invisibile: "Mia madre mi ha abbandonato."

Fu costretto a dimenticarlo subito. Vide un uomo che risaliva dalla campagna: a lui chiese la strada. Gli venne risposto di guidare fino alla prima chiesa, salendo quindi sull'argine. Costeggiando il fiume avrebbe incontrato la statale.

......

Cesare Almonti

Lettura consueta

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